La decisione della magistratura di mettere sotto sequestro l’altoforno dell’Ilva e condurre agli arresti domiciliari proprietà e manager è un unicum che potrebbe avere conseguenze devastanti. Innanzitutto l’Ilva è una struttura di fondamentale importanza nel contesto produttivo e occupazionale italiano perché lavora il 30% della produzione nazionale di acciaio. Inoltre, e questo è fondamentale, la soluzione giudiziaria ai problemi economici rischia di allontanare possibili investimenti nel nostro paese. Se all’elevato costo dell’energia (superiore del 30% rispetto al resto dell’Europa) e a un costo del lavoro e un’imposizione fiscale elevata, aggiungiamo la possibilità di bloccare le fabbriche con un’ordinanza, rischiamo davvero una desertificazione industriale.
Non deve assolutamente passare il principio che basta un fronte ambientalista per bloccare un’impresa altrimenti da noi non verrà a investire più nessuno. Si corre il rischio di dover importare prodotti da altri paesi dove ci sono normative ambientali molto meno restrittive, come in Cina o negli Stati Uniti. Io non critico gli ambientalisti intellettualmente onesti, ma troppi hanno ambizioni politiche e usano le loro battaglie per prendere voti. Questi sono irresponsabili e rischiano di fare grossi danni. Il settore dell’acciaio è fondamentale per l’Italia che ha un tessuto produttivo industriale a vocazione manifatturiera. L’impianto dell’Ilva è importantissimo a livello nazionale perché incide sulle esportazioni siderurgiche del Paese e sulle forniture ai vari segmenti di trasformazione dell’industria italiana. Il settore dell’acciaio assicura un lavoro a oltre 100mila addetti, produce ricchezza per oltre 50 miliardi.
Lo stabilimento di Taranto è il maggiore e fra i più competitivi a ciclo integrale a livello europeo, uno dei più imponenti a livello mondiale e la più grande fabbrica manifatturiera per numero di addetti diretti. Pertanto deve essere assicurata la capacità produttiva in quanto costituisce una risorsa strategica per l’intero Paese. Inoltre impianti di questo tipo e di questa grandezza fanno più danni all’ ambiente quando sono fermi che quando sono in attività. Così a distanza di anni possiamo dire che la scelta fatta negli anni ’50 del secolo scorso è stata di grande lungimiranza perché ha assicurato al territorio nazionale e al Mezzogiorno una risorsa impiantistica fondamentale per lo sviluppo e per la competizione del nostro sistema industriale nello scenario economico internazionale.
Nel corso degli ultimi anni il Gruppo Riva ha avviato un percorso di ammodernamento tecnologico degli impianti, anche alla luce della legge regionale nota come legge anti diossina. E così le emissioni oggi sono al di sotto degli standard europei: la diossina e’ passata dai 4,5 nanogrammi al metro cubo nel 2008 a 0,39 nel 2011. In 5 anni le emissioni sono scese quindi sotto la soglia fissata dalla normativa regionale e quindi rispetta i parametri di legge. In Europa ci sono 28 altoforni rispetto ai quali l’Ilva è all’avanguardia. Lo stabilimento di oggi è diverso da quello che potrebbe essere la causa delle malattie e delle morti rilevate attraverso l’indagine epidemiologica. Pertanto i danni ambientali e alla salute sono stati causati dalle passate gestioni.
I morti di Taranto fanno riferimento a fattori di rischio risalenti a 15 anni fa. Oggi questi rischi non sussistono: si sta facendo una sovrapposizione tra quello che c’è stato e quello che c’è. Da quando i Riva hanno rilevato l’impianto hanno investito cifre enormi per la sicurezza ambientale: 300 milioni di euro solo nel 2009. In assoluto il 24% del totale degli investimenti contro il 13% di altre aziende del settore. Impianti di questa dimensione vengono migliorati nel corso degli anni e quando è stato venduto al Gruppo Riva non era in buone condizioni. Bisogna considerare poi che l’Aia (l’autorizzazione integrata ambientale) è stata concessa a seguito di investimenti fatti e quelli promessi con il beneplacito degli enti locali. L’Ilva è vittima anche di una schizofrenia delle istituzioni: da un lato il Tar Puglia che considera troppo impegnative le misure di protezione richieste dall’Aia e dalla Commissione Europea; dall’altro lato la Procura di Taranto che ritiene che le misure adottate siano poco impegnative. Questo conflitto genera problemi non solo all’azienda stessa ma anche alle amministrazioni pubbliche.
Se dunque queste scelte di ammodernamento non sono sufficienti ad assicurare un elevato standard di protezione ambientale, come rilevato dalla magistratura, e bisogna allinearsi con gli obiettivi dell’Aia, allora è giusto che nuovi investimenti vadano a potenziare la tutela della salute e dell’ambiente. C’è un percorso già avviato e condiviso tra Governo, Regione e sindacati per risolvere i problemi ambientali. Il ministro Clini si è impegnato in prima persona ad affrontare la questione. C’è bisogno quindi di più fiducia nelle istituzioni e che ci sia un confronto tecnico di merito e che il Tribunale del riesame entri nello specifico della questione.