Ha ucciso una prostituta a coltellate, ha gettato il suo cadavere nel Po e ha poi scritto un romanzo in cui descrive dettagliatamente l’omicidio commesso. L’assassino si chiama Daniele Ughetto Piampaschet, 34 anni di Giaveno, in provincia di Torino, arrestato dai Carabinieri con l’accusa di omicidio volontario premeditato e occultamento del cadavere di Anthonia Egbuna. Il corpo della ragazza nigeriana è stato ripescato a febbraio a San Mauro Torinese, nelle acque del Po. Secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa, l’uomo avrebbe ucciso la donna a coltellate e avrebbe poi gettato il suo cadavere nel fiume. Il gip Massimo Scarabello ha da poco emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del pm Vito Destito, sostenendo l’esistenza di pericolo di fuga e di reiterazione del reato. “Salì in macchina e raggiunse rapidamente la vecchia casa di campagna. Rovistò nel fienile in mezzo alla paglia. Afferrò un fucile da caccia insieme alla cartucciera e tornò da Anthonia”, scrive Piampaschet nel manoscritto intitolato “La rosa e il leone”, in cui racconta ogni momento trascorso con la giovane nigeriana che si prostituiva tra Carignano e Torino, dall’incontro fino alla tragica conclusione. L’uomo è stato accusato in base agli spostamenti rilevati dalle celle telefoniche la sera del 28 novembre 2011, il giorno in cui sarebbe stato commesso il delitto. Come spiega a IlSussidiario.net il professor Alessandro Meluzzi, vi sono due possibili interpretazioni riguardo a cosa abbia spinto l’uomo a commettere un omicidio e a scrivere un libro su di esso: «Se il romanzo è stato scritto prima del ritrovamento del cadavere, allora è un evidente tentativo di confessione. Quando un delitto si traduce in una narrazione, poi resa pubblica, vi è il tentativo di espellere un qualcosa dall’interno che ormai è diventato troppo ingombrante. Scrivendo il libro, lo stesso assassino spera in qualche modo che qualcuno possa leggerlo e decodificarlo, quindi dietro alla volontà di raccontare il proprio delitto spesso si cela un inconscio desiderio di essere smascherato e di poter espiare le proprie colpe. E’ il classico tema del colpevole che torna sul luogo del delitto o dell’assassino che partecipa al funerale della vittima, ma anche una variante del comportamento del ragazzino che lascia tracce evidenti di un’azione per cui si sente in colpa oppure dell’eroinomane che lascia la siringa nel cassetto nel tentativo di essere scoperto e salvato dai genitori». 



Se invece l’assassino ha scritto il libro dopo il ritrovamento del cadavere della giovane prostituta, continua a spiegare Meluzzi, «allora appartiene più a un comportamento narcisistico da serial killer: un uomo che avverte un “io” patologico gonfiato e reso ancora più ipertrofico da un fatto diventato di pubblico dominio, e che quindi vuole in qualche modo rivendicare un’azione che ormai è sulla bocca di tutti, anche per evitare che qualcun altro possa prendersi il “merito”. Pur di non vedersi usurpare il titolo di assassino seriale, infatti, questo tipo di personalità sceglie di mettere una sorta di “timbro” sull’azione commessa proprio mediante la narrazione».  



 

(Claudio Perlini)

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