Al Meeting ieri si è parlato di carceri, non per fare discorsi, ma per ribadire numeri e dati di fatto che sarebbe meglio per tutti se venissero tenuti in conto: i numeri dicono che l’investimento per il lavoro dei detenuti, che è una precondizione al loro inserimento, sono ridicoli: 18 centesimi al giorno per detenuto. Una miseria che permette solo a 900 di loro sui 67mila dietro le sbarre di lavorare. Eppure la differenza dei tassi di recidiva tra chi ha lavorato nel periodo di detenzione e chi no, sono impressionanti: si abbatte a un quinto. Se su 5 detenuti 4 sono destinati a tornare in carcere per non aver trovato altra alternativa in libertà che continuare a delinquere, la media si riduce a uno se quei cinque escono dal carcere avendo lavorato e avendo la possibilità di continuare farlo fuori dalla cella.
Anche questo è uno spread a cui bisognerebbe prestare attenzione: porta risparmio, e recupera risorse umane attive. Ma chi può garantire che buone pratiche così non restino sulla carta? È solo la capacità di iniziativa del non profit, fatta di passione umana, di capacità di relazione e di intelligenza imprenditoriale. Ne ha parlato Giorgio Vittadini in un’intervista pubblicata questo mese su Vita. “Penso a tutto il lavoro di presenza nelle carceri in tutto il mondo. È una presenza imponente, quotidiana, commovente”. I tre aggettivi usati da Vittadini rendono bene sia le dimensioni di questo impegno, sia l’umile fedeltà che ne è condizione, sia soprattutto la libertà che muove chi mette le proprie energie in imprese come queste.
“Commovente” significa che non rispondono a nessun obbligo, ma che è solo una gratuità non prevista a muoverli. L’esempio del carcere potrebbe essere replicato su mille altri fronti sociali dove altre migliaia di uomini e donne garantiscono una “presenza imponente, quotidiana, commovente” per rispondere ai bisogni delle persone. Ma che cosa caratterizza questa presenza? Non è principalmente la prospettiva di risolvere un problema, quanto un tradurre in azione quel senso di irriducibile positività che dà l’esperienza di essere stati amati. Se uno è stato amato, non può che amare, non può che cercare di restituire quello che gratuitamente ha avuto.
Resta aperta una questione, che come ogni anno anche quest’anno ha investito il Meeting: che cosa deve aspettarsi questa umanità in azione dalla politica, visto che la politica può sostenere o al contrario osteggiare assetti che favoriscano queste presenze? Il guardare pragmaticamente e senza schermi ideologici alle scelte è una prospettiva d’obbligo. Ma è importante avere quella consapevolezza di cui Vittadini parla: “Siamo dei senza patria, e non abbiamo padrini né di sinistra, né di destra, quella che ha dominato per 20 anni l’Italia e che ha sempre avuto altri riferimenti, circuiti, intrallazzi”. Non è questione di demonizzare la politica, ma una consapevolezza così libera dagli schematismi lascia liberi di parlare con tutti.