“La società sta muovendo da una concezione di dignità della persona oggettiva, unitaria, ad una soggettiva e relativistica secondo la quale la dignità non esiste in sé bensì dipende da ciò che la persona prova in un determinato momento; ma così ciascuno può ‘sentire’ una dignità differente”. Così commenta la drammatica vicenda di Tomy Nicklison, il cittadino britannico che dopo essersi visto negata l’eutanasia dal tribunale di Londra ha perso la vita naturalmente qualche giorno più tardi, il costituzionalista Vincenzo Tondi della Mura.
Dopo che l’Alta Corte di Londra aveva respinto venerdì scorso la sua richiesta di porre fine alla propria vita attraverso suicidio assistito, Tomy Nicklison, 58 anni e affetto da 7 dalla sindrome di Locked-In dopo essere stato colpito da ictus, è deceduto per cause naturali. In Gran Bretagna, è bene ricordarlo, il suicidio assistito resta vietato dalla legge anche se sono presenti zone d’ombra nell’ordinamento che consentono al giudice di decidere con ampi margini di discrezionalità. È il caso di chi lascia indicazioni ben precise al riguardo (una sorta di testamento biologico) ed è il caso di parenti che credono di fare una cosa giusta perché mossi da compassione e affetto nei confronti del richiedente pratiche eutanasiche.
“La mia vita è stare seduto su una sedia per sei ore senza potermi muovere, senza alcuna dignità, con la saliva che mi scende dalla bocca”, così Nicklison aveva spiegato al mondo attraverso Twitter, utilizzando un sofisticato programma di lettura delle palpebre, il suo stato d’animo nei giorni seguenti la richiesta. Nicklison, infatti, è fino ad ora l’unica persona al mondo nelle sue condizioni ad aver usato i social network per raccontare di sé tenendo una specie di “diario di bordo”. E proprio attraverso i social aveva anche espresso il suo desiderio di essere assistito nel tentativo di togliersi una vita “senza alcuna dignità”.
A mettere in guardia dai rischi di un facilissimo fraintendimento del concetto di dignità della persona è il costituzionalista Tondi della Mura, che dice “non possiamo evitare di riconoscere che la società europea sta muovendo da una concezione di dignità della persona oggettiva, unitaria, ad una soggettiva e relativistica secondo la quale la dignità non esiste in sé bensì dipende da ciò che la persona prova in un determinato momento; ma così ciascuno può ‘sentire’ una dignità differente. E soprattutto”, continua Tondi della Mura, “sposare una concezione soggettiva della dignità potrebbe di fatto favorire l’istigazione al suicidio, inducendo per mezzo della legge comportamenti non prevedibili oggi ma domani giustificabili dalla legge”. E aggiunge “bisogna considerare anche il fatto che la volontà del disabile grave, come chi è affetto da malattie come la sclerosi laterale amiotrofica, l’Alzheimer o il Parkinson, non è totalmente lucida ma condizionata dallo stato psichico, assistenziale e anche economico in cui versa. Non dimentichiamo che le spese per la partecipazione mensile ai ricoveri sono consistenti; immaginiamo quali difficoltà potrebbe incontrare, per esempio, una coppia monoreddito che deve farvi fronte”.
Per mettere in guardia dalle zone d’ombra in cui i giudici possono muoversi Tondi della Mura guarda poi positivamente alla giurisprudenza di alcune corti americane che “limitano il diritto all’autodeterminazione argomentando, tra le altre cose, proprio con il fatto che la volontà di una persona inferma non è totalmente lucida ma condizionata; motivo per cui non può esservi nemmeno un’autodeterminazione piena”.
Secondo queste corti, in pratica, “il disabile opta per il suicidio anche a motivo di condizionamenti esterni: per esempio perché non vuole gravare sui familiari sia in termini assistenziali sia economici”. E anche i suoi famigliari potrebbero essere spinti ad assecondarne l’estremo gesto in preda a una “falsa carità che non guarda al bisogno reale del loro caro”. Guardando a cosa si potrebbe invece fare per aiutare le persone in simili condizioni, Tondi della Mura dice: “il minimo sarebbe ancorare il livello di compartecipazione alle spese pubbliche al livello di reddito del nucleo famigliare”.
(Matteo Rigamonti)