La proposta è quantomai bizzarra anche se, ogni tanto, a qualcuno spunta l’idea di ritirarla fuori. Questa volta è toccato al sindaco di Napoli Luigi De Magistris che, durante la trasmissione “La zanzara estate” in onda su Radio 24, ha annunciato che “Presto a Napoli potrebbe partire un progetto sperimentale per un quartiere a luci rosse. Nella nostra città – ha detto il primo cittadino – registriamo un incremento della prostituzione. Di fronte a questo dobbiamo partire da alcuni dati di fatto, la prostituzione in quanto tale non è vietata dalla legge, è vietato lo sfruttamento”. E rincarando la dose: “Io non sono dell’idea che il fenomeno non si sconfigga col manganello o con la criminalizzazione delle prostitute o dei clienti – ha aggiunto – Quindi bisogna aprire un dibattito e il tema va affrontato laicamente”. Dunque un modello in puro stile Amsterdam le prostitute sono relegate in quartiere e occhieggiano ai clienti dalle vetrine delle loro “case”. “Più o meno, qualcosa di diverso ma, in qualche modo, anche simile. Deve essere individuata un’area dove si sa che in qualche modo è praticata la prostituzione. Se noi creiamo un’area, riusciamo a ridurre enormemente la presenza della criminalità organizzata, perché quell’area verrebbe monitorata dalle forze dell’ordine. La mia idea è che si potrebbe sperimentare, lo trovo un fatto positivo per una grande città internazionale”. Per De Magistris, dunque, un’area in cui a prostituzione non è legalizzata ma tenuta sotto controllo. Qui c’è un controllo socio-sanitario, un controllo delle politiche sociali e un controllo delle forze dell’ordine, in modo da individuare subito gli sfruttatori. “Dal nostro punto di vista – dice Roberto Gerali, responsabile nazionale del Servizio Antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi – se il sindaco la pensa in questo modo dovrebbe dimettersi oltre a non avere un minimo di sensibilità verso queste ragazze che sono sotto ricatto di un racket spietato. Tanto più che il 40% delle centomila donne che troviamo sulle strade, nei locali, nelle case e nei privè sono minorenni e sotto sfruttamento: stiamo, quindi, parlando di persone non libere ma costrette alla professione. 



Mi stupisce che un magistrato non sappia i fondamenti che sono alla base dello sfruttamento. Pensare ad un’area dedicata alla libera prostituzione peggiorerebbe la situazione perchè permetterebbe al racket di poter tenere meglio “gli affari” sotto controllo e, oltretutto, in maniera del tutto legale. Tutto questo è inaccettabile dal punto di vista legale ma anche del rispetto della persona”. La linea proposta da Gerali va nella direzione opposta e vede come soluzione la punizione del cliente. “La domanda continua ed è sempre più pressante. La Comunità Papa Giovanni XXIII di Don Benzi, in prima linea da anni contro lo sfruttamento della donna, ha indicato l’esperienza dei paesi del nord Europa, in primis la Svezia e, dal 2009 la Svezia e ora anche la Francia e la Danimarca si stanno allineando, con l’ordine di idee secondo cui il cliente è il responsabile di questo orrore e, perciò, va punito. Il 70% dei clienti delle prostitute è padre di famiglia e ha più di quarant’anni e questo è inammissibile”. La svolta deve essere culturale “ Occorre che si riporti al centro della società- continua Gerali- il ruolo della donna che è la cellula fondamentale della nostra società e va tutelata. Come diceva Don Benzi “Nessuna donna nasce prostituta ma c’è sempre qualcuno che insiste per farla diventare tale”. La comunità fondata da Don Benzi chiede ai politici di intervenire per cambiare il destino di queste ragazze sbloccando una legge anti-prostituzione ferma ormai da tre anni nelle aule della Commissione Giustizia del Senato.  

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