Caro direttore,
eccoci qua. Ammaccati e ancora un po’ storditi ma presenti, sospinti in edicola da un fiume di telefonate, e-mail, messaggi, testimonianze di affetto e di stima che mai dimenticheremo e che ci hanno aiutato a reagire alla stupida e vile aggressione della quale siamo stati fatto oggetto: il furto nei giorni scorsi della maggior parte dei mezzi di produzione di giornale e tv con l’aggiunta di effetti personali e la messa a soqquadro degli uffici.
Aggressione stupida perché il valore di computer, televisori e telecamere di seconda mano è molto basso rispetto al prezzo del nuovo (a meno che oggetto dell’attenzione non siano le informazioni contenute), e vile, perché oltre al danno economico se ne fa uno molto più grande mettendo un gruppo editoriale nelle condizioni di non poter svolgere il suo lavoro (a meno che non sia stata proprio questa la ragione del raid). Comunque sia, eccoci qua. Grazie alla nostra buona volontà, certo, ma anche per effetto dell’ampia azione di solidarietà e sostegno che si è sviluppata tra amici e lettori una volta diffusa la notizia del misfatto. Trattandosi dei giorni immediatamente successivi il Ferragosto, la partecipazione ha superato le nostre aspettative. E ci ha commosso per numero e intensità, come se davvero la profanazione della nostra sede fosse stata avvertita come profanazione della casa e degli affetti di ciascuno. In particolare, dobbiamo ringraziare gli amici e colleghi editori, direttori e giornalisti che in questa occasione ci sono stati vicini con tali offerte di collaborazione e messa a disposizione di spazi e attrezzature da far ricredere sulla fama di cinismo che grava sul nostro settore. Anche le istituzioni hanno fatto quadrato; alle molte e gradite parole di conforto si sono aggiunti fatti concludenti e non è scontato che accada in una città e una regione dove i problemi sono tanti e ognuno è alle prese con i propri.
Fatta questa doverosa e sentita premessa, direi sia giunta l’ora di gridare “mo’ basta!”. Di gridarlo forte e chiaro perché tutti possano sentire e in cuor loro immaginare a chi o che cosa indirizzare l’ultimatum. Sì, lo so, esistono già organizzazioni che hanno scelto queste parole come motto distintivo e non vogliamo sottrarre primogeniture a nessuno (ci mancherebbe altro): prendiamo in prestito l’urlo liberatorio per esprimere quello che sentiamo e invocare un cambiamento d’indirizzo. Sì, perché come dice un amico intelligente come il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, a un certo punto bisogna imparare a fare come i navigatori delle nostre automobili quando per un motivo o per un altro ci troviamo fuori strada: sfoghiamoci, indigniamoci, prendiamocela con la nostra distrazione o con quella degli altri, ma alla fine ricordiamoci che il viaggio non è finito e che occorre ricalcolare la rotta. Ecco, in sintesi: la rotta è persa, ricalcoliamola.
Dunque, basta con la rassegnazione che accompagna le città in declino: la rassegnazione di chi lavora e produce, dico, della parte sana e dimenticata della popolazione il cui apporto si dà per scontato perché animata da una naturale buona inclinazione. Basta! Piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e loro dipendenti volenterosi sono la spina dorsale della nostra economia e non possono esistere solo per dovere di statistica o per offrire spunto di dibattito nei dotti convegni che si organizzano. Costoro sono il motore delle nostre comunità e senza di essi non si va da nessuna parte. Sono a corto di benzina e piuttosto che rassegnarci allo stallo occorre rimetterli al centro di un’attenzione non più di maniera, non più teorica. Basta alle proposte senza senso, ai colpi di teatro, alle mistificazioni spacciate per comunicazione, alle promesse senza seguito, alle lungaggini amministrative, alle vessazioni burocratiche.
Prima di condannare il malaffare, mettiamo ordine negli affari ordinari. La politica del quieto vivere ci sta conducendo al quieto morire: sono tanti gli operatori economici che scompaiono dalla scena senza che nessuno se ne accorga o se ne dolga. Salvo a contare poi i disoccupati che aumentano e a costatare che i crimini comuni stanno conoscendo nuove vette. Basta con l’indulgenza concessa a piene mani, con l’accettazione della mediocrità come normalità, con gli atteggiamenti collusivi, con la mortificazione dell’impegno, con il rifiuto sistematico del merito.
Ricalcoliamo la rotta. Quella che abbiamo seguito finora ci porta su una strada senza uscita. Guardiamoci attorno: quali segni di vitalità e fiducia possiamo cogliere da quello che ci circonda? Quelli che possono portano via i propri soldi e mandano i figli a studiare altrove, d’investire nel territorio non ci pensano proprio; quelli che non possono tirano una carretta sempre più pesante accettando una vita da sudditi anziché da cittadini. I cittadini sono altri, il privilegio non ha nulla a che vedere con le qualità individuali. Eppure le città per svolgere il proprio compito di trasformatori e sviluppatori di energia, unici soggetti responsabili per il futuro della generazione di opportunità di crescita e di reddito, avrebbero tutto l’interesse a modificare l’oggetto della propria attenzione rivolgendo lo sguardo verso chi potrebbe assecondare e agevolare il compito mettendo con questo un freno alla fuoriuscita dei giovani migliori, di cui tutti si dolgono, e diventando allo stesso tempo attrattori di cervelli creativi.
Con la Camera di Commercio e la Regione abbiamo cercato di mettere questi temi al centro della discussione con l’evento Napoli 2020 dal quale sono emersi numerosi spunti meritevoli di approfondimento e realizzazione. Ora siamo in attesa che si svolga il World Urban Forum cui seguirà il Congresso internazionale di Antropologia urbana, che avranno per oggetto ancora una volta gli stessi argomenti. Ma riusciremo e riusciranno questi appuntamenti a squarciare il velo dell’indifferenza e indurre a passare dalle parole ai fatti?
Ci vorrebbe un’edizione riveduta e corretta della marcia dei quarantamila quadri Fiat che nel 1980 sfilarono silenziosi per le strade di Torino uscendo dal buio e diventando improvvisamente visibili. Ecco, sarebbe bello veder passeggiare a testa alta per le strade di Napoli e di tutte le città del Sud gli eroi senza medaglia, imprenditori e lavoratori volenterosi, che oggi sono ai margini della società nonostante ne siano il cuore e i muscoli. Da considerare non più muli da soma ma cavalli da corsa.