Il divieto, previsto dalla legge italiana sulla fecondazione assistita, di far accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni coppie di portatori sani di malattie genetiche viola il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare. A sostenerlo è la Corte europea per i diritti dell’uomo, in un giudizio emesso all’unanimità sulla legge 40 a favore di una coppia italiana. I giudici di Strasburgo hanno infatti definito “incoerente” il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni, poiché vi è un’altra legge dello Stato che permette l’aborto terapeutico nel caso in cui il feto sia affetto da fibrosi cistica. La Corte ha quindi accolto il ricorso dei coniugi Rosetta Costa e Walter Pavan stabilendo che, per come è formulata, la legge 40 ha violato il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare. IlSussidiario.net ha contattato il genetista Bruno Dallapiccola per un ulteriore chiarimento.



Cosa cambia dopo la decisione della Corte di Strasburgo?

E’ ancora presto per dirlo. Potrebbe anche non accadere nulla nel caso in cui un nuovo ricorso diventasse oggetto di valutazione e di analisi, quindi sarà importante vedere che tipo di reazioni, in particolare a livello politico, ci saranno nei prossimi giorni.



Se invece tale decisione fosse definitiva?

Certamente la decisione presa dalla Corte Europea rappresenta una forte apertura alla diagnosi preimpianto, pratica su cui personalmente nutro una forte preoccupazione.

Come mai?

Innanzitutto perché intorno a questo tema vi è ancora oggi una forte carenza di informazione. Da genetista posso dire di avere un punto di osservazione privilegiato nei confronti delle coppie che decidono di optare per questo tipo di indagini, quindi credo che si sappia troppo poco sull’informazione genetica e in particolare sul margine di errore presente nella diagnosi. In quella preimpianto la percentuale di errore è abbastanza bassa ma in quella citogenetica, quindi cromosomica, che viene normalmente scelta, il margine di errore è del 30-35%. Inoltre in molti si ostinano a non voler spiegare quanti embrioni vengono al mondo dopo una diagnosi preimpianto.



Quanti?

Solo il 2,6%. Proprio per questo da medico credo che tutte queste informazioni debbano passare nel modo più efficace possibile, comprese quelle riguardanti i possibili rischi per l’embrione. La legge 40 ha tentato in qualche modo di fare ordine in quella che qualcuno ha definito la “giungla” della fecondazione in vitro, proponendosi di tutelare i diritti di tutte le parti in causa, dei genitori e dell’embrione stesso. In parte può essere considerata un’utopia ma evidenti vantaggi ci sono senza dubbio stati. La stessa sentenza di cui stiamo parlando, poi, a mio parere evidenzia altri problemi di cui si dovrebbe maggiormente parlare.

Per esempio?

In particolare il fatto che l’embrione, proprio alla luce di questa sentenza, torna a essere considerato un “qualcosa” e non un “qualcuno”. Questo giudizio, tengo a precisare, è in disaccordo con una sentenza europea dell’ottobre scorso con cui è stata riconosciuta la natura di essere umano dell’embrione fin dal concepimento e che per questo ne vietava la brevettabilità. E’ quindi assolutamente necessario che l’Europa si metta d’accordo una volta per tutte e che si in futuro possa ragionare nello stesso metodo in ogni circostanza.

In che modo avviene l’eliminazione degli embrioni considerati non adeguati?

La diagnosi preimpianto viene eseguita una settantina di ore dopo il concepimento, dopo di che solitamente si prendono due cellule per aspirazione sul cui genoma viene fatta un’analisi completa. Il problema è che lavorare su questi micro-campioni presenta ovviamente delle difficoltà che possono anche portare a errori di tipo diagnostico, in particolare nella diagnosi citogenetica.

Secondo lei è giusto far accedere una coppia fertile alla diagnosi preimpianto?

No, credo che una coppia composta da persone che sono in grado di riprodursi fisiologicamente non dovrebbe essere candidata a fare una diagnosi prenatale attraverso il preimpianto, ma dovrebbe invece utilizzare tecniche più tardive, ma sicure al 100%, come l’analisi dei villi coriali. Non si può continuare a parlare della diagnosi preimpianto come fosse il toccasana della diagnostica prenatale delle malattie genetiche, quindi da medico non la raccomanderei alle coppie fertili.  

Come mai secondo lei una coppia fertile sceglie di utilizzare la diagnosi preimpianto quando, in via ipotetica, potrebbe concepire naturalmente ed eventualmente abortire? Non le sembra un controsenso negare l’aborto ma non l’eliminazione preventiva degli embrioni malati?

Sono molte le madri che si dicono pronte ad affrontare la diagnosi preimpianto per evitare ad ogni costo l’aborto. Il problema è che molte di queste decisioni sono dettate da motivi di tipo emotivo e la cui causa resta la disinformazione. Ancora oggi il tema della diagnostica prenatale è purtroppo pieno di falsi messaggi su rischi e caratteristiche specifiche dei vari test esistenti. E’ necessario poi sottolineare che dietro tali pratiche vi sono spesso anche numerosi interessi economici.

Si spieghi meglio.

Quando le coppie hanno problemi di fertilità sono spesso disposte a tutto pur di arrivare a una soluzione, quindi purtroppo diventano facili prede di quella parte meno seria e professionale della medicina che tende ad approfittarsi di loro. La legge 40 non ha forse risolto l’intero problema ma ha certamente modificato in parte le cose, creando una sorta di coscienza e conoscenza su alcune tematiche.

La decisione della Corte Europea di cui stiamo parlando riguarda la fibrosi cistica. Crede che tale sentenza possa allargarsi anche ad altre malattie genetiche?

Certo, inevitabilmente il dibattito andrà adesso a toccare anche molte altre malattie. Voglio però sottolineare che sono molti gli esperti che mettono in dubbio che oggi la fibrosi cistica sia ancora tra quelle patologie fondamentali in cui è assolutamente necessario procedere con la diagnosi preimpianto. Se ragionassimo con una sorta di mentalità eugenetica allora non nascerebbe nessuno perché siamo tutti geneticamente imperfetti: basti pensare che ad ogni concepimento una coppia trasmette settanta nuove mutazioni ai propri figli. E’ chiaro che una patologia gravissima, letale e non compatibile con la vita può suscitare un certo tipo di scelte e pensieri, ma probabilmente la fibrosi cistica non ne fa più parte.  

 

(Claudio Perlini) 

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