La figlia di Rosetta Costa e Walter Pavan, nel 2006, nacque affetta da fibrosi cistica. I due scoprirono di esserne entrambi portatori sani. Quando, nel 2010, la Costa rimase nuovamente incinta, scoprì che il figlio che portava in grembo sarebbe nato anch’egli affetto dalla malattia. Abortì. I due decisero che volevano un altro bambino. Ma sano. L’unico modo per averne la certezza era la fecondazione assistita, previa selezione embrionale. Pratica, quest’ultima, vietata dalla legge italiana. Che, al contempo, impedisce alla coppie fertili di accedere alla fecondazione in vitro. I due decisero, quindi, di presentare ricorso presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. Che, adesso, si è pronunciata, stabilendo che la legge italiana viola il diritto alla vita privata e familiare della coppia. Se entro tre mesi lo Stato italiano non farà ricorso al secondo e ultimo grado di giudizio della Corte, la sentenza diventerà definitiva. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Eugenia Roccella.



Qual è, anzitutto, la ratio della norma italiana che vieta l’accesso alla fiv per le coppie fertili?

La legge è stata emanata non di certo per selezionare i bambini quanto per mettere le coppie che non hanno la possibilità di fare figli nelle stesse condizioni di quelle fertili, grazie alle nuove tecnologie. Ma l’accesso alla tecnica non può considerarsi indiscriminato; non è un caso, del resto, che si parli di procreazione “assistita”. Per questo, non vi possono accedere le coppie fertili. E quelle portatrici di malattie genetiche possono avere figli.



Eppure, la sentenza ricorda che la legge consente l’accesso alla coppie affette da malattie sessualmente trasmissibili come l’Aids.

Anzitutto, non è la legge ad affermarlo, bensì le linee guida stilate dall’allora ministro Turco. Secondo le quali talune coppie, in ragione della loro malattia, si trovano in una situazione assimilabile ad una sorta di infertilità indotta. Chi è affetto da queste patologie, infatti, è obbligato, per la protezione del partner, a utilizzare il preservativo rendendo, di fatto, impossibile il concepimento.

E’ stato detto, inoltre, che la legge 40 sarebbe in contraddizione con la legge italiana che consente di accedere all’aborto se il feto è malato di fibrosi cistica.



Neanche questo è vero. Se lo fosse, la legge 194 conterebbe principi di eugenetica. Essa, infatti, quanto meno in linea teorica e al netto degli abusi, prevede di ricorrere all’interruzione di gravidanza tardiva esclusivamente nel caso in cui l’eventuale patologia riscontrata nel feto possa nuocere alla salute della madre.

Quali conseguenze produrrebbe la sentenza, se confermata?

Si sancirebbe il principio eugenetico in base al quale la vita di una persona disabile vale meno di quella di una persona sana. Nel caso in questione si parla di fibrosi cistica. Ma, ovunque viga la diagnosi preimpianto, la lista della patologie che la legittimano è stata, nel tempo, ampliata a dismisura. Si è stabilito addirittura che possa essere scartato quell’embrione in cui si riscontri una probabilità – perché sempre e solo di probabilità si tratta – alta di essere affetto da un tumore una volta raggiunti i cinquant’anni.

L’Italia farà ricorso?

E’ del tutto inverosimile che decida di non farlo. A prescindere dal proprio orientamento, qualunque governo, per prassi, ricorre in appello per difendere le proprie leggi nazionali votate dal Parlamento. In ogni caso, la sentenza è decisamente sommaria, fondata su informazioni approssimative. D’altro canto, le stesse procedure che disciplinano la Corte di Strasburgo fanno sì che, spesso e volentieri, i pronunciamenti di primo grado siano inficiati da un grado elevato di incertezza. Per intenderci: è noto che non di rado i testi provenienti dai singoli Paesi non vengano tradotti completamente.

Quale sarà la nostra linea difensiva?

Anzitutto, procedurale. Non si è mai visto che un ricorso venisse accettato senza che, nel Paese di provenienza, si fosse giunti fino all’ultimo grado di giudizio. E la coppia in questione non ha mai presentato ricorso in alcun tribunale italiano. Nel merito, la disciplina relativa alle categorie cui si possa concedere la facoltà di accedere alla Fiv rientra nel margine di discrezionalità che svariate sentenze precedenti hanno attribuito alla legislatura dei singoli Paesi in ordine a simili decisioni. Non è un caso che, per esempio, numerosi Paesi non permettano la prassi dell’utero in affitto. 

 

(Paolo Nessi)

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