Impossibile tenere fuori dall’agenda politica i cosiddetti “temi eticamente sensibili”: sarebbe come non volersi occupare di globalizzazione, o rifiutarsi di parlare di problematiche ambientali, e pretendere comunque di governare il paese. La biopolitica, piaccia o no, fa parte del nostro tempo, lo attraversa e lo trasforma: giudicarne i fatti e stabilire o meno delle regole è inevitabile per chiunque guidi un paese.



E quindi adesso spetterà al governo Monti decidere se ricorrere o meno contro la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) per difendere la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, e assumersene tutta la responsabilità politica.

Le notizie riportate dai media sono note: una coppia italiana, fertile, portatrice sana di una malattia genetica – la fibrosi cistica – vuole accedere alle tecniche di fecondazione in vitro per poter selezionare gli embrioni sani e trasferirli in utero, scartando quelli malati, per avere figli senza questa patologia.



Sono ricorsi alla Corte Europea perché la legge italiana consente l’accesso a queste tecniche solo alle coppie infertili, vietandolo a chi può avere figli per vie naturali. La legge 40, infatti, è pensata per dare alle coppie sterili una possibilità in più di avere figli, e non per consentire alle coppie in generale di scegliere i propri figli, accettando quelli sani e scartando i malati. 

In prima istanza la Cedu ha accolto la richiesta della coppia, parlando di “incoerenza” fra la leggi italiane, precisamente fra la 40 e la 194 sull’aborto che, secondo la Corte Europea, consentirebbe di abortire se il nascituro è malato di fibrosi cistica: secondo i giudici europei la coppia italiana avrebbe diritto quindi all’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto, per scegliere gli embrioni sani da trasferire in utero.



Ma i fatti non stanno esattamente in questi termini, ed è bene fare chiarezza, nel metodo e nel merito, per capire cosa è effettivamente in gioco.

Nel metodo: stiamo parlando di un pronunciamento di primo grado della Cedu, che in molti casi (per esempio la recente sentenza sull’eterologa, o anche quella sul crocefisso), è stata rovesciata nel pronunciamento finale della Grande Chambre. Considerando la grande differenza nelle procedure seguite dalla Cedu per le sentenza di prima istanza e per quelle definitive della Grande Chambre, la prudenza è d’obbligo, e sarebbe bene aspettare la fine del percorso giudiziario prima di trarre qualsiasi conclusione in merito.

D’altra parte, ci si può rivolgere alla Corte Europea solo quando si sono esauriti tutti i gradi di giudizio nella nazione in cui si risiede, ma in questo caso la coppia italiana non si è mai rivolta ai nostri tribunali, il che dovrebbe rendere inammissibile il ricorso stesso, in un eventuale appello. 

Perché la Grande Chambre intervenga è però necessario che il governo Monti impugni questo pronunciamento di prima istanza, chiedendo alla Cedu un grado successivo di giudizio: se entro i prossimi tre mesi il governo non interverrà, il parere reso noto oggi sarà definitivo, e l’Italia vi si dovrà adeguare.

Il governo tecnico, quindi, è chiamato ad una decisione squisitamente politica che avrà un significato ben preciso, a seconda che decida o meno di intervenire: una decisione alla quale, ovviamente, è impossibile sottrarsi. Non ricorrere, per esempio, svelerebbe la volontà di questo governo di cambiare la legge 40. 

Sarebbe poi interessante chiedere a chi, come Pierferdinando Casini, ha teorizzato che i temi etici debbano essere estranei al programma governativo, cosa avrebbe fatto in questo caso se fosse stato a Palazzo Chigi alleato con il Pd: il partito di Bersani condivide le posizioni espresse dalla Cedu e sicuramente, se fosse stato al governo, non avrebbe presentato ricorso.

Nel merito, è bene chiarire che il paragone con la legge 194 che regola l’aborto non regge. La 194, così come la 40, non è eugenetica, cioè non consente la selezione di esseri umani in base a caratteristiche genetiche. Per la 194 non sono le eventuali malattie del nascituro di per sé a rendere lecito l’aborto: in punta di diritto, si può abortire se da problemi di salute del feto derivano gravi pericoli per la salute fisica o psichica della donna.

Non è differenza da poco: sapere che il proprio figlio soffrirà di una malattia importante sicuramente genera enorme dispiacere e grande sofferenza, che sono però – ovviamente – diversi dal “grave pericolo per la salute” della donna.

E d’altra parte la stessa Cedu, nella precedente sentenza sulla fecondazione eterologa, ha argomentato a favore del margine di autonomia di ogni singolo stato, a riguardo: un eventuale ricorso italiano, quindi, avrebbe molte possibilità di essere accolto, e di ribaltare la sentenza di oggi. Aspettiamo fiduciosi le reazioni del governo.  

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