Che bella storia ci arriva dall’Inghilterra. Una storia vera, eppure anche una favola senza tempo, e quindi universale, di quelle che avrebbero ispirato apologhi per fissare la condizione umana. Victoria Vardy ha 25 anni, vuol fare la giornalista, ha una famiglia felice, anche se ha perso la mamma qualche anno fa. Questo sappiamo dal Guardian che ha ritenuto di occuparsi di una vita qualunque, di una vita speciale. Perché il celebre quotidiano è solo cassa di risonanza di una news privatissima, che pure può fare e farà il giro del mondo. Victoria ha lanciato un appello sulla rete, ha messo il suo faccino davanti a una telecamera e ha cominciato così: “Ciao, sono Victoria, sono nata il 14 marzo 1987. E questo è praticamente tutto quello che so della mia nascita”. E non le basta. Perché per sapere chi sei devi avere radici, e il sangue ti dice che quelle affettive, quelle di una parentela acquisita non bastano. Sono tantissimo ma non bastano, Victoria è grata ai suoi genitori adottivi, non li cambierebbe per nulla al mondo. Ma si chiede da anni perché la sua vera mamma l’abbia abbandonata,  scruta il suo corpo e i lineamenti, per trovare le tracce  esilissime che riconducano a volti, paesaggi, nomi. Quel piedino un po’ storto, da piccola; quel taglio degli occhi, quel vezzo di piegare il capo pensosa.  Chi sono? E’ la domanda di tanti, di tutti i bambini, e poi uomini e donne che hanno ricevuto in sorte una famiglia d’amore, ma non conoscono di chi sono figli.  Sono tantissime in ogni paese le associazioni nate proprio a  questo scopo, ritrovare un legame, una storia, un passato. Quante carrambate televisive  ci hanno riportato sugli schemi abbracci e lacrime che abbiamo sentito come vere, perché ciascuno, dentro il cuore, sa che farebbe come Victoria, cercherebbe padre e madre. La novità in questa ragazza sbarazzina e tenace è semmai la serenità, la totale mancanza di rancore: che grandi genitori devono averla cresciuta, per colmare il vuoto, la perdita, per stare al suo fianco, in questa richiesta struggente di sapere. Victoria parla della mamma con tenerezza e pietà. Non le rimprovera di essere sparita per sempre; è convinta che qualche pena deve averla spinta a tanto, qualche ineluttabile dramma di vita, e spera soltanto che ora sia in pace. Vuol donarle il  suo perdono di figlia.



Di più: non pretende neppure di trovarla, la mamma: vorrebbe vederla, ma accetta il silenzio, se  questo è giusto e buono per il bene di tutti. L’altra novità, rispetto ai moltissimi che s’affidano a segugi o organizzazioni, è che  Victoria fa tutto da sola, e sceglie la rete. Uno slancio, buttato in un oceano infinito di spazio e libertà.  In questa scelta umanissima e toccante si annida però un’inquietudine, una preoccupazione:  c’è chi può ingannarti, ragazza. C’è chi può illuderti. C’è chi può distrarre il tuo tempo di giovane appassionata e chiuderlo in un vortice di supposizioni, di ansie, di turbamenti. E, quando mai avessi una risposta veritiera, ti basterebbe? Sei certa che non diventerebbe un tormento, un tarlo che rode la tua letizia? Potresti non capire, non giustificare i motivi, potresti restare delusa dall’indifferenza o dalla conoscenza di troppo dolore.



Ricordiamo bene che fino a non molti anni fa,  ai ragazzi adottati e  accolti da nuove famiglie non si rivelava l’identità fino alla maggiore età, e soltanto su richiesta specifica. Si voleva preservare il presente, ed era una buon intento. Ma un uomo non è una tabula rasa: da un punto di vista biologico, sentimentale, caratteriale  siamo figli di   incontri  di uomini, su su, a salire di generazione in generazione, nel tempo. Ogni protagonista di questa catena di rapporti è stato unico, indispensabile, irripetibile. Non ci saremmo, senza quel contadino del 700 e quel cavaliere, quella servetta al castello, secoli addietro.  Chi si occupa di adozioni lo sa,  e per questo fin da piccini si racconta, prima in forma di fiaba, poi con tutti i particolari possibili, tutto quel che si sa della famiglia d’origine. Ma anch’essa ha diritto a sparire, se lo chiede, se lo sceglie. E’ duro da accettare, è difficile da capire,  ma è il diritto per cui chiediamo a ogni donna sola e ferita e spaventata da un parto di non abortire, di lasciare suo figlio, sua figlia alle cure di chi li saprà amare. Perché si genera e poi si educa, ed è un essere generati di nuovo. Così, Victoria, segui la tua strada, ma non insistere troppo. Guarda tuo padre, che trepida per le risposte che potranno arrivare, e rassicurati. E’ lui, tuo padre, e tu pensa quanto gli somigli. Hai il suo sorriso, e quella caparbia voglia di farcela con cui ti ha stretto al petto, 25 anni fa.