Chi ha paura dello squalo cattivo? Chi non sa che ha problemi di stomaco: ci mette più o meno tre giorni a digerire un pescetto da un chilo e mezzo. Una digestione troppo lenta per essere davvero pericoloso… a meno di non scambiare la tavola di un surfista per una foca, ma questa è un’altra storia. Lo squalo non è cattivo, anzi, è buonissimo (ma non da mangiare, anche se in alcune parti del mondo ci si ostina a credere che le sue pinne siano afrodisiache), così buono da essere addirittura riusciuto, insieme ad altri pesci, a salvare un gruppo di giovani mammiferi il cui habitat, così come la possibilità di procacciarsi il cibo, erano fortemente compromessi. Già, perché stavano perdendo definitivamente il proprio posto di lavoro. Oggi quei mammiferi (che, l’avrete capito, erano umani) ricambiano il favore, salvando gli squali, ma anche altre specie: i pinguini e le tartarughe marine.



Teatro di questa strana storia di mutuo soccorso è quel resta della futuristica “Colonia marina XXVIII ottobre” dell’architetto romano Clemente Busiri Vici: 110mila metri quadrati di edifici che ricordano una flotta di navi immersi in cinque ettari di parco, con tanto di annessa spiaggia sulla riviera romagnola, a Cattolica. È tutto quel che s’è salvato dalla lottizzazione selvaggia degli anni ’60: quando venne inaugurata nel 1934 da Benito Mussolini, era grande il doppio. È qui che nel 2000 vide la luce, grazie alla collaborazione tra Comune e privati, associati nella Parconavi spa, l’Acquario di Cattolica, “il parco del mare più innovativo d’Europa”. Talmente innovativo che mancavano quasi del tutto i protagonisti: i pesci. Squali toro a parte, gran parte della visita era fatta di percorsi multimediali. Un’idea evidentemente un po’ troppo avanti per i tempi… E infatti il primo anno fu un clamoroso flop. Ma neppure gli anni seguenti furono molto brillanti, nonostante la buona volontà e gli sforzi delle società e degli enti che si succedevano nella gestione dell’Acquario.



A resistere fino alla fine rimase solo Costa Edutainment, la società di gestione dell’Acquario di Genova (e anche di Livorno in Toscana e Cala Gonone in Sardegna), che aveva fornito non solo gli squali all’inizio, ma anche l’avviamento della società. Peccato che le prospettive non fossero delle migliori. E che nel frattempo i dipendenti fossero rimasti in una trentina appena. Roberta Bagli, una di loro, ricorda bene quei giorni: ovvio che l’umore non fosse dei migliori, con la prospettiva dell’imminente chiusura della struttura. “Ci trovavamo davanti a un bivio: gettare la spugna o tentare il tutto per tutto per salvare il nostro acquario”. Così trovarono un accordo con Costa: la società avrebbe tenuto aperti i battenti dell’acquario, restando rigorosamente dietro le quinte, ma fornendo tutto il sostegno possibile, lasciando a loro la gestione della struttura. Avevano un anno di tempo per dimostrare che il parco marino poteva funzionare. Avrebbero pagato a Costa l’affitto della struttura in base all’utile di gestione… se ce ne fosse mai stato uno.



Nel marzo 2007 furono appena in sedici a raccogliere la sfida, impegnando proprie risorse economiche (nell’ordine di qualche migliaio di euro) e fondando la cooperativa Parco Le Navi. Tutti giovani intorno alla trentina, tutti della zona, ma soprattutto tutti con i piedi ben piantati per terra e a stretto contatto con il pubblico, si rimboccarono le maniche: “Mancava il rapporto col territorio e con gli operatori turistici – ricorda Roberta Bagli – Ma soprattutto mancavano i pesci”. Così, oltre a stringere una santa alleanza con Comune, albergatori, commercianti, coinvolgendoli nel’attività di promozione alla struttura, il gruppo dei sedici iniziò a riempiere le vasche. C’erano già gli squali toro, che nel frattempo, dato che in Romagna si mangia bene, erano cresciuti diventando i più grandi in Europa. Perché dunque non continuare su questa linea?

I primi ad arrivare furono quindi gli squali martello, che a dispetto della loro estrema delicatezza si ambientarono perfettamente nelle acque filtrate dall’Adriatico. Il primo anno di gestione, a dispetto delle previsioni, fu subito un successo: “Avevamo un budget con utile a zero ma in pareggio, invece chiudendo il bilancio trovai un avanzo di 500mila euro”. 

Patrizia Leardini, presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa, era convinta di aver sbagliato a fare i conti. Invece l’utile c’era ed era reale. Solo che invece di spartirselo fra soci, i ragazzi decisero di reinvestire tutto quel che restava (pagate le spese di gestione, affitto incluso) aggiungendo nuove vasche. Per attrarre i turisti, ogni anno occorre una novità. Così, un anno dopo l’altro, gli utili vennero impiegati per far arrivare a Cattolica le tartarughe marine, poi i pinguini, infine le lontre e addirittura i caimani. Tutti animali, però, non catturati nel loro ambiente, ma nati in ambiente controllato e provenienti da strutture di cura (e ovviamente dai collegamenti con la Costa Edutainment). Che a Cattolica hanno trovato casa e famiglia. 

I ragazzi salvati dagli squali hanno infatti ricambiato il favore, dando avvio al progetto “Salva una specie in pericolo” (www.salvaunaspecie.it): le tartarughe marine tenendole “all’asilo” fino a che le dimensioni non ne consentono la liberazione in mare aperto (a ottobre di ogni anno), i pinguini di Humbolt sostenendo la fondazione che in Perù ne sta ricreando l’habitat compromesso dall’uomo, gli squali con un’opera di sensibilizzazione a 360° per bloccare la pratica del finning (il taglio della pinna) e salvarli dall’estinzione.

Oggi l’Acquario di Cattolica (www.acquariodicattolica.it) è secondo solo a quello di Genova e in cinque anni ha ricevuto 1milione e 300mila visitatori., con un fatturato annuo che si aggira sui quattro milioni di euro. “Ci ho sempre creduto, ma non me l’aspettavo”, scherza (ma non troppo) Patrizia Leardini. I 16 soci della cooperativa ogni anno organizzano una “gita scolastica” e vanno a studiare da vicino gli altri parchi marini europei. E Costa ha deciso di uscire da dietro le quinte, rilevando l’intera proprietà di Parco Navi spa (l’originaria società mista pubblica e privata fondata dal Comune). E la Cooperativa? Oggi dà lavoro a una settantina di persone. E dal prossimo anno non pagherà più l’affitto, ma avrà l’intera struttura in appalto.