Caro Alex,
sono un insegnante di liceo e padre di tre figli. Tante volte, in questi anni, ho iniziato l’anno scolastico con gli studenti e le loro famiglie citando una tua frase: «Non sono felice perché ho vinto, ho vinto perché sono felice». Era il mio modo di iniziare l’avventura di un nuovo anno di scuola evidenziando che non è il risultato che ci determina, ma la motivazione, la passione e l’impegno.
In queste ore, ascoltando le tue parole, nulla della verità di quella frase è venuto meno; anzi, essa è diventata più intensa, ha ricevuto la forza che solo il dolore può dare. Quante volte la fatica di ogni giorno mi assale, quante volte la passione lascia il posto al “dover fare”! Io non mi devo allenare ore e ore su e giù per le strade, ma devo fare ciò che mi viene chiesto dal lavoro, dalla famiglia, dalle mie responsabilità. E non è sempre facile! Quante volte, a fronte di sforzi e sacrifici, sembra che tutto sia vano e inutile! Solo fatica; e non gusti più niente; neanche ciò che fino a ieri ti rendeva sereno e ti permetteva di “vincere”. E così viene voglia di scappare oppure di trovare una strada più semplice per continuare a dire a tutti che va tutto ancora bene…
Alex, sbagliando, hai messo ciascuno di noi – io per primo – di fronte alla fragilità del nostro essere uomini. Circondati da un contesto che ci chieder di essere sempre “campioni”, ci accorgiamo che non lo siamo e finiamo per pensare che solo la fuga ci può salvare.
Caro Alex, grazie per le tue parole, grazie per il tuo sacrificio; sì sacrificio! Non perché hai fatto una cosa giusta, bensì perché il tuo errore – quanti doping ci sono nella vita di ciascuno! – è lì a ricordarci che siamo fragili e che da soli rischiamo solo di ferirci. Che tu possa riscoprire tramite le persone che ti vogliono bene il gusto di una vita nuova, non priva di fatiche, ma lieta perché ultimamente piena di gratitudine. Te lo auguro e me lo auguro. Sarà la vittoria più bella.
Flavio Merlo