Può un film scatenare la rabbia di un popolo, fino a portare alla violazione della sacralità di un’ambasciata, al massacro di gente innocente? No, non può. Un filmettino becero, prodotto con scarsi mezzi e soprattutto con scarse conoscenze e cattive intenzioni. Infarcito di retrivi luoghi comuni degli odiatori dell’Islam, volgare, rabberciato come fotografia e regia. Curioso che sia costato 5 milioni di dollari. Sempre che sia vero, dato che le soffiate che si leggono sui quotidiani sono via via smentite da altre più fresche informazioni: non sarebbe un imprenditore californiano soprattutto non sarebbe un ebreo, i copti non centrano, se non per un loro sito di fanatici, il reverendo che brucia il Corano non ha parte in causa, se non per il plauso a tutte le inziative idiote e foriere di pericoli. Capiremo. Quand’anche, fare un film che disprezza delirando i principi e i profeti di una fede è ingiusto e stupido, serve soltanto ad attizzare l’odio e fomentare i fondamentalismi, come saggiamente ha detto un preoccupatissimo vescovo di Tripoli, Mons. Martinelli. Però vorremmo comunque che un film, un libro, una pubblicità, non portassero mai a una reazione vendicativa violenta. E non perché si tratta di opere della creatività e dell’ingegno. Sotto la copertura dell’arte si architettano operazioni di spregio e sfregio di popoli e culture. La libertà artistica può arrivare alla celebre “merda” di Manzoni, ma oltre? E comunque non va mai usata come un’arma, e puntando il mirino. Vorremmo che un film o un libro anche se brutti e stupidi potessero girare e sottoporsi al giudizio e all’eventuale condanna della gente, senza indottrinamenti e fatwe; vorremmo che sparissero dalla memoria per la loro insipienza e inutilità, non per i roghi di piazza. Che come la storia insegna, non hanno mai cancellato le loro tracce, creando anzi i presupposti per il successo, o per l’idolatria.
Davvero i seguaci del Profeta si sentono offesi per un trailer su Youtube da scatenare una guerra santa? Non ci sono occasioni più nobili su cui impegnarsi? Chi impedisce loro di pregare, credere, sperare, nonostante la stupidità di pochi? Dobbiamo notare ancora una volta, purtroppo, che tanta attenzione e tutela dei fondamenti della fede non valgono se si tratta di altre fedi. Non è dato ai cristiani alzare la voce per i soprusi e gli insulti, per le minacce e le persecuzioni. Eppure i cristiani non sono soliti scatenare guerre in nome di Dio.
E qui si arriva al punto cruciale della questione: è davvero un gruppo di fanatici ad aver mosso un’intera folla, e provocato la morte di 4 persone nella villa dov’era ospitata l’ambasciata americana? Per qualche ora anche dagli Usa hanno finto di accreditare questa tesi. Guai a rinfocolare la paura di Al Qaeda. Ma l’11 settembre, data fatale, non è accaduta a Bengasi. E proprio a Bengasi, culla dei fondamentalisti libici, non è accaduta un’azione imprevista di popoloma un’azione di guerriglia militare. Qualcuno ha sapientemente provocato la gente, e approfittato del trambusto per sparare, con armi sofisticate e scopi definiti. Un’operazione bellica cui rispondere prontamente e con intelligente autorevolezza: magari riflettendo sui troppo facili entusiasmi dopo la morte di un tiranno, senza aver approntato le misure necessarie per garantire il futuro di pace di un popolo; fidandosi di nuovi protagonisti della politica che non offrivano sufficienti garanzie di civiltà e democrazia (drammatica coincidenza: è di ieri sera la notizia della sconfitta di Al Jibril, sulla cui moderazione e amicizia puntavano gli occidentali).
“E il premio sperato promesso a quei forti sarebbe o delusi rivolger le sorti… e d’un volgo straniero por fine al dolor?” Troppo in fretta abbiamo sventolato le bandiere della primavera araba per subito riporle nel cassetto: noi europei perchè affannati dai conti economici e dai balzi dello spread, gli americani dai turn over della campagna elettorale. Ma guai ad abbassare ingenuamente la guardia.