“Io prego, io prego per questo viaggio del Papa in Libano”. Il cuore di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita siriano che nel giugno scorso, dopo trent’anni di permanenza, ha dovuto lasciare la Siria, è rimasto là, in Medio Oriente. È rimasto con i suoi confratelli del monastero di Deir Mar Musa, è rimasto con i cristiani, minoranza tra le minoranze, in Siria, in Iraq, in Libano. Ma per il viaggio di Benedetto XVI nella terra dei cedri non ha soltanto pregato con il cuore e con le parole, ma anche con il corpo: padre Paolo ha infatti appena terminato una settimana di digiuno e di sensibilizzazione a sostegno del popolo siriano e come suo contributo personale alla preparazione del viaggio papale.
Un viaggio importante, per i cristiani innanzitutto, ma non solo. In una nazione così lacerata da contrapposizioni di potere e da infiniti conflitti, ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio potranno diventare una pietra di costruzione di una nuova società o essere strumentalmente utilizzati per rinfocolare odii atavici e conflitti religiosi.
Benedetto XVI, all’udienza generale di mercoledì 12, alla vigilia della partenza, ha chiesto a tutti di accompagnarlo con la preghiera: «Possa questa visita incoraggiare i cristiani e favorire la pace e la fraternità in quella Regione». E nel saluto in francese, dopo aver incoraggiato «tutta la Chiesa alla solidarietà per continuare a testimoniare Cristo in queste terre benedette» ha aggiunto, tra l’altro: «La storia del Medio Oriente ci mostra il ruolo importante e spesso fondamentale svolto dalle varie comunità cristiane nel dialogo interreligioso e interculturale. Chiediamo a Dio di donare a questa regione del mondo la pace tanto desiderata, nel rispetto delle legittime differenze. Dio benedica il Libano e il Medio Oriente!».
Un saluto, quello del Papa, in cui l’equilibrio delle parole fa risaltare la delicatezza del viaggio, sia sul versante ecclesiale che su quello politico, un equilibrio che colpisce il cuore di padre Paolo. «Siamo nel prudente silenzio diplomatico», scandisce al telefono. E, alla richiesta di essere più esplicito, ribadisce, cadenzando le parole: «Siamo nel prudente silenzio diplomatico». Quasi un amaro “no comment”, ma il fuoco arde e il gesuita si sbilancia. «Non c’è la parola “diritti umani”, non c’è “democrazia”, non c’è “emancipazione”, non ci sono le “legittime aspettative”. A Pasqua queste parole c’erano…».



Il viaggio è delicato e taluni sottolineano che la prudenza non è mai troppa, che l’allerta è al massimo… Il silenzio diplomatico potrebbe continuare anche a Beirut, ad Harissa, a Baadba, a Bzommar, a Bkerké, a Charfet… «Lo temo», toglie ogni dubbio il sacerdote. «Certo, il viaggio è pericoloso ma con le parole di Benedetto XVI la testimonianza della verità sarebbe più chiara. E queste parole aiuterebbero le parti più sensibili alla posizione della Chiesa a prendere le decisioni necessarie». Il pensiero di Dall’Oglio corre ai cristiani di Siria, d’Iraq, del Libano. «Lo scriva: io prego per questo viaggio del Papa».



 

(Daniela Romanello)

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