È uscita ieri sull’Ansa la notizia di una giovane palermitana che a soli 16 anni ha cominciato a prostituirsi, per i compagni di scuola, per i suoi professori, alla modica cifra di 5/10 euro (il particolare dell’esiguità della cifra dovrebbe rendere il fatto ancor più sconfortante).

In effetti è qualche giorno che si susseguono diversi accadimenti con protagoniste delle giovani prostitute, a dire il vero molto più raccapriccianti: a Roma una di loro è stata bruciata viva (pare sia salva) mentre a Bolzano un ragazzo diciottenne ha accoltellato, uccidendola, una romena con due figli piccoli.  



Spesso ho sentito usare la parola “lucciole” per nominare queste donne che fanno il mestiere più vecchio del mondo, forse per “umanizzarle”, sopratutto in frangenti così dolorosi; non so se avete mai incontrato davvero quell’insetto, è sempre più raro, perché la sua presenza è un segnale sicuro dell’equilibrio di un ecosistema. Insomma, una radura piena di lucciole l’estate è uno spettacolo commovente, è un avvenimento.



Le lucciole di strada invece no. Direi quasi il contrario, possono muovere repulsione. Soprattutto quando al mattino rientrano; oppure quando le incontri negli ambulatori ginecologici, al Pronto Soccorso, nel centro Aids. Proprio lì ne ho fatto conoscenza personale, carnale. 

Seduta a chiedere loro della vita, la loro storia, rimettendo insieme pezzi assolutamente dolorosi e imprecisi per presentare un’anamnesi decente, per ricostruire una donna, per tentare di salvarne almeno la salute.

Le aiutavo a spogliarsi: le ecchimosi, i lividi, le piaghe. Gli oggetti laceranti che i clienti usavano con loro (alcuni lasciati in loco) e punti da dare.



Le tossiche: così assenti, ovuli infilati in ogni cavità, gli agenti di custodia accanto a loro, senza pudore, solo mestiere. Sul lettino a braccia divaricate, i buchi bluastri evidenti.

Amo le donne: che male mi fanno questi ricordi.

Prostituirsi è soprattutto tanto male, una quantità incommensurabile di dolore fisico, mortale. È inevitabilmente un annientamento.

E questo loro lo sanno. Lo sanno, me lo dicevano, con il corpo, con l’anima.

Sono giunta alla conclusione che la prostituzione sia la forma più antica (e ugualmente moderna) di schiavitù. Loro si danno, tutte.

Dicono sia diverso per quelle di alto bordo, le cosiddette escort. Non saprei, non ne ho conosciute, loro sono tipe da cliniche private, non mi pronuncio.

Racconto di quello che ho visto, degli aborti ripetuti, delle bocche piene di sigarette “per non sentire il gusto e l’odore del cliente”. – Ti rovini i polmoni, vuoi morire di cancro? – faceva le spallucce.

Così quando posso, quando a scuola con i ragazzi parlo di sesso, all’interno dei progetti per “l’educazione affettiva” io affronto sempre il tema delle lucciole, suscitando grande interesse. E ho sempre un esempio da fare: ma secondo te, vale di più un rapporto sessuale completo con una prostituta o un bacio, un bacio in bocca d’accordo, con la ragazza che hai sempre desiderato, quella del quinto anno che mezzo istituto, la parte maschile, ci sta dietro?

O la tua compagna, sì quella a cui lanci sguardi come lenze e lei mai che abbocchi. Gira gli occhi, malmostosa.

Cosa ti piacerebbe, davvero, di più?

A fare cosa ci vuole più coraggio?

Il coraggio dei 50 euro, che abbiamo visto possono ridursi dieci volte, o il coraggio del cuore innamorato, che batte all’impazzata, che scopre di essere uomo, scelto, desiderato?

La bellezza del desiderio. Il coraggio del desiderio. La nostalgia del desiderio.

Ripenso alla ragazza sedicenne, che nei bagni la dava via per 10 euro anche ai professori: lo faceva davvero per desiderio. 

Non certo di denaro.

Desiderio puro: ecco, prendetemi.

Desideratemi.

Il movimento del cuore che ha necessità estrema di essere preso in qualche modo, da qualcuno. Perché un abbraccio resta pur sempre un abbraccio, anche se pagato. Soprattutto uno sguardo, lo sguardo di qualcuno su di te, lo stesso che un bambino rivolge alla madre, lo sguardo che anche una madre prostituta ha verso i figli, quello che andava cercando probabilmente anche lei.

Nello sguardo abita il desiderio. Con uno sguardo vieni scelto.

È il modo in cui guardi l’altro a determinare la stoffa di cui sei fatto, e l’altro può coprirsi con la coperta dei tuoi occhi. 

Forse lei, nel momento in cui veniva spogliata, lei, ragazzina, si è sentita scelta, in qualche modo destinata. Anche i professori la volevano: in questa scintilla sta la luce che brucia l’uomo. Ognuno di noi ha dentro un incendio, può essere sole, stella nascente, oppure inferno, siamo liberi di farlo. Incapaci di spegnerlo (per fortuna, o per sorte, fate voi).