Vittorio Arrigoni, il volontario italiano ucciso nell’aprile del 2011 in Palestina: sono arrivate le condanne per due persone considerate gli autori dell’omicidio. Arrigoni era stato rapito da un gruppo di militanti non bene identificati nella striscia di Gaza, dove l’italiano svolgeva da tempo la sua attività in aiuto della popolazione palestinese. I rapitori chiedevano alle autorità di Hamas la liberazione di un leader salafita, ma ancora prima dello scadere dell’ultimatum per ragioni poco chiare Arrigoni era stato ucciso. Adesso la conclusione del processo, tenuto da un tribunale militare di Hamas, che ha condannato all’ergastolo due militanti salafiti, Mahmud al-Salfiti e Tamer al-Hassasna, di età di poco superiore ai 20 anni ciascuno. Ci sono state altre due condanne: un vicino di casa è stato condannato a dieci anni di detenzione per aver fornito ai rapitori informazioni decisive per rapire Arrigoni, mentre è stato condannato a un anno di carcere Amer Abu Hula che aveva dato la sua casa a disposizione dei rapitori per nascondere il pacifista italiano. La morte di Arrigoni secondo le indagini avvenne per strangolatura con filo di ferro: era stato rapito all’uscita della palestra in cui era solito recarsi. Gli altri due componenti del gruppo terroristico erano morti durante uno scontro a fuoco in cui erano stati catturati gli altri due terroristi. Il processo, secondo osservatori esterni, si è tenuto con scarso rispetto dei diritti umani. Arrigoni, nato in Brianza nel 1975, aveva sempre lavorato nel campo dell’aiuto alle popolazioni profughe, in Europa dell’est e anche in Sudamerica. Dal 2002 si trovava in Medio Oriente ed era finito nella lista delle persone sgradite allo Stato di Israele per la sua attività in favore dei palestinesi. Dopo essere stato espulso, riesce a tornare a Gaza nel 2008: aveva ottenuto la cittadinanza onoraria palestinese. Durante il suo rapimento, Arrigoni era stato filmato legato e bendato, accusato di essere in Palestina per provocare la corruzione del Paese. I responsabili del rapimento vennero catturati dopo pochi giorni. I rapitori erano subito stati identificati come esponenti dell’alal jahdista ed estremista del movimento islamico, quello facente capo ai salafiti.
La sua morte aveva colpito molto la popolazioe italiana, specialmente le perosne impegnate in attività volontaria di sostegno ai popoli del terzo mondo.