La vicenda è talmente clamorosa che perfino Marco Travaglio ha temporaneamente sospeso le ostilità per correre in soccorso del direttore del Giornale; lo ha fatto con un editoriale intitolato “Salvate il soldato Sallusti” denunciando l’assurdità di un sistema in cui un giornalista rischia di andare in carcere per aver fatto il suo mestiere. Nel caso in particolare, si tratta di ben più di un semplice rischio. Sallusti, infatti, è stato condannato a 5mila euro di ammenda e, in appello, a 14 mesi di reclusione, senza condizionale, per diffamazione a mezzo stampa. Le sentenze fanno riferimento ad un articolo pubblicato nel febbraio del 2007 su Libero, quando Sallusti ne era direttore e chiamato a rispondere di tutto quello che compariva sulla testata. La Corte di Cassazione, mercoledì 26 dicembre, esaminerà il caso. Pare che se non avrà niente da eccepire sul piano formale, la sentenza diventerà esecutiva. Abbiamo chiesto a Franco Abruzzo, ex presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, come stiano effettivamente le cose.



Crede che realmente Sallusti rischi la galera?

No. Le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo prevalgono sull’ordinamento interno. I giudici italiani hanno l’obbligo vincolante di attenervisi. E Strasburgo afferma che i giornalisti non possono essere condannati al carcere; si tratterebbe di una violazione del diritto dei cittadini ad essere informati. Se esistesse, effettivamente, la possibilità di finire in carcere, nessun giornalista lavorerebbe più. Se i giudici non sono convinti di questo, possono sollevare una questione di fronte alla Corte costituzionale. Non è tutto.



Prego

Dal primo dicembre 2009 la Carta dei diritti fondamentali della Ue e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sono entrati a far parte della Costituzione europea (Trattato di Lisbona); significa, quindi, che i giudici possono applicarla direttamente.

Pare, tuttavia, che i giudici italiani non ne siano pienamente convinti

E’una situazione paradossale. La stessa Corte costituzionale italiana, nella sentenza 39 del 2008, in riferimento alle sentenze 348 e 349 del 2007 della medesima Corte, ha sancito che i giudici non possano ignorare le sentenze di Strasburgo. Si afferma, in particolare, che «le norme della Cedu devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell’ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all’interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l’eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi (…). Gli Stati contraenti  sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu».



Quindi?

La condanna di Sallusti è nulla. Una legge ritenuta sbagliata dalla Corte di Strasburgo non può rimanere nell’ordinamento italiano

Ora la palla, in ogni caso, passa alla Corte di Cassazione. Come si comporterà?

Non può fare altro che annullare la condanna. Potrebbe rimettere la questione alla Corte Costituzionale. Ma, essendosi già espressa in merito, non lo farà. Potrebbe, al limite, annullarla con rinvio alla Corte d’Appello, indicandogli la strada da seguire, o cosa pià probabile, annullarla definitivamente in riferimento a Strasburgo.

Oltretutto, pare che Sallusti sia stato condannato senza sapere che era stato aperto un procedimento nei suoi confronti e senza che fosse presente il suo avvocato

A maggiore ragione, la sentenza è nulla, perché viola l’articolo 24 della Costituzione («Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari»).