La vicenda è abnorme, inquietante. A tal punto che il presidente della Repubblica in persona ha deciso di occuparsene. Il suo portavoce, Pasquale Cascella, ha fatto sapere, infatti, che «il presidente naturalmente segue il caso e si riserva di acquisire tutti gli elementi utili di valutazione». Del resto, la traversia giudiziaria rischia di infliggere un durissimo colpo allo Stato di diritto e alla libertà d’informazione. Non esiste Paese al mondo, in quello occidentale, per lo meno, in cui un giornalista possa andare in galera per aver scritto quello che pensava o perché, da direttore di un giornale – ed è il caso in questione – abbia consentito la pubblicazioni di quello che pensava qualcun altro. Abbiamo chiesto a Piero Sansonetti un commento sulla possibilità che il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, faccia 14 mesi in prigione.
Come ha reagito alla notizia della sentenza d’appello che condanna Sallusti?
Credo che si tratti di un obbrobrio e una vendetta. Tuttavia, la mia solidarietà a Sallusti è talmente scontata che non credo neanche ci sia bisogno di esprimerla. Invece, a fronte di una situazione del genere, credo che si imponga una riflessione.
Quale?
Solo quando accadono queste cose ci rendiamo conto del fatto che esiste, nella civiltà moderna, l’obbrobrio del carcere e che nessuno vuol prenderne atto. Sallusti, in fondo, è uno di noi. Per questo, riteniamo che metterlo in prigione sia una cosa folle e feroce. Ma questo obbrobrio si ripete decine di volte al giorno. Ci sono 67mila persone per le quali la follia del carcere è già realtà. Quasi metà della quali non sono neppure state condannate, ma subiscono l’assurdità della carcerazione preventiva.
Lei contesta l’istituto del carcere in sé o la sua gestione sovente disumana?
La mia condanna consta di vari gradi: credo, anzitutto, che nessuno che non sia stato condannato dovrebbe stare in carcere; credo che le condizioni concrete in cui versano i carcerati siano atroci; penso, infine, che il carcere in sé sia un’istituzione medioevale, che dovrebbe esistere per non più di 2 o 300 persone per le quali sussistono effettivamente problemi di ordine pubblico.
Tornando a Sallusti, lei parla di vendetta dei giudici. Perché proprio lui?
Non nascondo che ha una marea di difetti. Ma tutto può dirsi fuorché sia amico dei guidici. Si è trattato di un atto intimidatorio, per colpire un simbolo. Lui, e tutti quelli come lui, quindi.
Franco Abruzzo, su queste pagine, ricordava che alcune sentenze della Corte di Strasburgo affermano esplicitamente che i giornalisti non possono essere condannati al carcere e che, prevalendo Strasburgo sull’ordinamento italiano, la Cassazione valuterà la sentenza di condanna nulla. Possibile, tuttavia, che i giudici dalla Corte d’Appello abbiano ignorato il diritto vigente?
Possibile. Accade molto spesso. I giudici italiani hanno ormai uno strapotere tale per cui possono agire impunemente. D’altro canto, non sono così convinto del fatto che la Cassazione rigetterà la sentenza. La Corte, ogni giorno, emana una quarantina di sentenze. Si tratta di una lotteria. Certo, nel caso di Sallusti avranno qualche attenzione in più. Ma credo che realmente rischi il carcere.
Cosa cambia, in Italia, se Sallusti va in carcere?
Già il livello di informazione non è altissimo. Con la sentenza intimidatoria le cose peggioreranno. D’altro canto, le ricordo gli effetti della sentenza di condanna a tre anni, in primo grado, a Farina, reo di essersi recato in carcere, nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari, a trovare Lele Mora, ma accompagnato da una persona che, secondo i giudici, non si sarebbe dovuta trovare assieme a lui; ebbene, oggi i giornalisti e i politici che vanno in prigione a trovare i detenuti sono pochissimi. E le condizioni delle carceri sono ulteriormente peggiorate.
In molte occasioni, articoli di giornale rivelatisi in seguito pieni di falsità hanno distrutto delle persone e rovinato delle carriere. Non crede che, in questi casi, sarebbe necessario impedire o sanzionare simili situazioni?
Io, infatti, sono contro il carcere. Ma non contro l’intervento del diritto che regoli il diritto di stampa. Da questo punto di vista, la prima cosa che farei è abolire le intercettazioni; se non esistesse più la possibilità di pubblicarle sui giornali, avremmo risolto il 70 per cento del problema. Nel caso in cui qualcuno scriva, per esempio, una riga di insulti a chi non ha fatto nulla andrebbe certamente sanzionato.
In generale, come va affrontato il problema?
Credo che sarebbe necessario cambiare il Codice penale. Il pericolo del fascismo, in Italia, non esiste. L’unica cosa rimasta fascista è il Codice penale.