Napoli, pieno centro: due ragazzi sono in motorino quando si affianca loro un altro ragazzo, anche lui sedicenne. Spara, i due sbandano e vanno a finire contro un’auto in sosta. Fortunatamente non riportano ferite gravi. Si verrà a sapere che a sparare è stato un appartenente al clan Giuliano di Forcella. Il motivo: gelosia per una ragazzina, di soli 13 anni, che piaceva a tutti e due. Rivalità d’amore dunque, tra minorenni, con tanto di colpi di pistola. Ilsussdiario.net ha chiesto di commentare l’episodio a Gianni Di Bernardo, ex pugile, oggi Presidente del Comitato Regionale Campania di kickboxing. Di Bernardo è anche titolare di una palestra dove allena e recupera ragazzi problematici, con esperienza di criminalità e di droga. “Un fatto che colpisce per la giovanissima età dei protagonisti” dice “ma che come quasi sempre fa scalpore perché uno dei due è imparentato con una famiglia della malavita”. Invece, spiega Di Bernardo, episodi del genere accadono di continuo e hanno per protagonisti molte volte anche figli di avvocati o medici. “E’ un problema che colpisce tutti i giovani d’oggi: i ragazzi non hanno alcuna maturità o senso di responsabilità, crescono omologati con le mode del momento e non hanno rispetto per i valori trasmessi dalle famiglie”. 



L’episodio in questione ha per protagonista un appartenente al clan dei Giuliano, che un tempo spadroneggiava a Forcella. E’ tutt’oggi una zona ad alta densità criminale?

In realtà no, il clan ha subito diversi arresti da parte delle forze dell’ordine. Quando ci troviamo a passare in quelle zone devo dire che nell’ultimo periodo sono diventate zone abbastanza tranquille.



Nella sua esperienza, ha mai avuto a che fare con ragazzi protagonisti di episodi analoghi?

Alcuni, ma mai episodi così gravi come questo. Vorrei far notare che questo episodio ha fatto scalpore anche perché ha a che fare con la zona di Forcella una volta molto in voga nella cronaca nera. Ma episodi simili accadono anche nelle zone diciamo “in” però magari la stampa e la televisione non li riportano. Accade spesso al sabato sera che figli di liberi professionisti,medici o avvocati siano autori di rapine o anche di accoltellamenti.

Dunque un fenomeno generale, che non riguarda solo ragazzi cresciuti in ambienti malavitosi?



No. Io penso sia un problema comune dei ragazzi di oggi che non hanno una maturità, non hanno senso di responsabilità. Ci troviamo in una condizione dove non c’è più rispetto per nulla.

Perché accade questo secondo lei? La famiglia ha delle responsabilità?

Certo, però noi abbiamo contatti con tutti i ceti sociali e il più delle volte, stando che è chiaro che vivere in un ambiente malfamato comporta rischi maggiori, non è giusta la proporzione famiglia in un certo modo e figli in un altro.

 

No certamente. Intendevo se secondo lei oggi le famiglie non sono in grado di trasmettere ai figli i valori di responsabilità, di rispetto della vita.
 

E’ difficile oggi trasmetterli. Ci troviamo in una epoca dove i ragazzi non accettano il no da parte degli adulti. Sono tutti concentrati sull’apparenza e non sulla sostanza. Le racconto un episodio, per quanto possa essere banale.

 

Ci dica.

 

Qualche giorno fa mi sono recato a prendere mio figlio a scuola:  non riuscivo a riconoscerlo. Perché hanno tutti lo stesso taglio di capelli, hanno tutti lo stesso modo di vestirsi, tutto sembrava un cliché buono per tutti. Questo fatto mi ha colpito ed è emblematico. Questi ragazzi di oggi non hanno personalità e noi operatori sociali contiamo proprio sul responsabilizzare il carattere, dare loro un carattere forte che li renda in grado di scegliere e non di attaccarsi al carro che va di moda in quel momento.

 

Ci racconti come si svolge la vostra attività con i ragazzi.

 

La nostra è una delle scuole tra le più affermate in campo internazionale per quanto riguarda il kickboxing. Il nostro modo di affrontare i ragazzi non riconosce quale sia la provenienza sociale: nel momento in cui si entra in palestra ci si spoglia di tutte le ricchezze e di tutte le povertà e si diventa una cosa sola, condizione essenziale che viene spiegata e viene fatta assimilare.

 

Che risultati avete con i giovani?

 

Non riusciamo al cento per cento se no saremmo dei maghi ma diciamo che l’80%  e anche più dei ragazzi riesce  in questa metamorfosi che cerchiamo di dare loro. Ci teniamo naturalmente che vadano a scuola. Abbiano stimoli e obbiettivi per tutti, poi ognuno è diverso naturalmente.

 

Avete un tipo di relazione con loro anche al di fuori dell’attività sportiva?

 

Sì certo, questo viene in automatico viaggiando per le gare sia in Italia che all’estero per cui per forza di cose ci sono momenti di convivenza come la pizzeria, il cinema, le gite, i campi estivi. Proprio per far sì che ci sia un amalgama fra noi e loro e tra di loro.

 

Riuscite a coinvolgere anche i genitori?

 

Cerchiamo di coinvolgerli anche se non è facile con tutti gli impegni che hanno oggi i genitori, sempre di corsa. Però cerchiamo di porci in maniera tale in modo che con i genitori ci sia un rapporto di fiducia, non ci siano barriere. Ci affidano anche bambini di 4, 5 anni durante i campi estivi senza proprio perché abbiamo instaurato un buon rapporto con loro.

 

Ci saranno però casi di ragazzi particolarmente problematici.

 

Ci sono. Se riusciamo a far scattare quella mola che fa capire che anche loro sono persone con una loro identità riusciamo ad avere buoni risultati sia in campo sportivo sia in campo umano. Con i ragazzi spesso si dimentica che bisogna stare con loro, parlare con loro con il loro linguaggio. Invece si tende a rapportarsi a loro da adulti e loro questo lo capiscono e si chiudono fra di loro.