Carissimo Alessandro, so che la mia solidarietà non conta nulla, però te la voglio dare lo stesso, a titolo personale, sia per la stima e l’affetto che ho per te, sia perché non tutti sembrano comprendere l’enormità del problema. Leggevo poco fa su un blog il commento di un lettore alla “difesa” che ti ha fatto Travaglio. Questo lettore lamentava il fatto che un “reato” come il tuo commesso da un cittadino qualunque sarebbe stato punito e basta, mentre siccome tu appartieni alla “casta” dei giornalisti, allora puoi difenderti e trovare, magari, alleati imprevisti.
Per molto tempo anch’io (che non ho mai voluto diventare giornalista di professione) ho identificato giornalisti e magistrati come due caste privilegiate. Poi, quando si cominciò a parlare di abolizione dell’OdG, mi resi conto che sbagliavo: il potere dei giornalisti esiste, ma esso consiste anche nella difesa di uno spazio di libertà dall’invadenza di poteri ben più forti e arroganti.
Perché dico questo? Perché senza il tuo caso – che spero e penso si risolva in una bolla di sapone – avremmo un’occasione in meno per riflettere sull’orrore, perché di orrore si tratta, di un magistrato che usa la legge come un’arma personale contro la libertà di qualcun altro. Avremmo un’occasione in meno per ricordare che gli uomini di legge hanno il dovere di servire la legge, non di servirsene.
Tutti noi abbiamo sicuramente fatto qualcosa, nella vita, che potrebbe essere l’oggetto di una denuncia, o di una querela. Non so cosa possa essere, ma a frugare in qualunque armadio uno scheletro prima o poi lo si trova. La nostra fortuna, di norma, è di non averlo fatto a un magistrato.
Mi pare, insomma, che ci sia materia per una grande riflessione su cosa significa essere servitori del proprio Paese. Travaglio ti chiama “soldato”, bene: un magistrato dovrebbe essere come un soldato, che identifica il proprio onore personale con quello della nazione.
Senza l’idea di servizio, ossia del fatto che siamo chiamati a servire qualcosa di più grande di noi, il Paese si sfascerà di sicuro: si moltiplicheranno le regole, ma nessuno capirà più che cos’è una regola. E se dicono che è un atto dovuto, allora è anche un atto dovuto ridergli in faccia.
Caro Alessandro, quello che ti è capitato non è altro, ai miei occhi, che la conferma della serietà del tuo lavoro. Chi fa informazione può, naturalmente, fare del male, e molto, ma un giornalista non potrà mai strapparsi di dosso quella che è la natura del suo lavoro: la difesa della libertà di tutti.
Perciò, soldato Sallusti, ti mando un grande abbraccio
Luca Doninelli