Il governo, per bocca del presidente del Consiglio, in accordo con il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha indicato la volontà di procedere alle riforme della giustizia in modo graduale, evidenziando quale priorità il ddl anticorruzione, in grado di dare credibilità al nostro mercato e impulso all’economia, nonché di rispettare l’impegno preso con l’Europa. Immediate le reazioni, soprattutto da parte di esponenti del Pdl, che si dicono disposti a sostenere il governo nella sua azione riformatrice in tema di giustizia solo a condizione che si metta mano anche all’invocata riforma sulle intercettazioni telefoniche (resa particolarmente urgente, anche in seguito alle intercettazione delle conversazione del Presidente Napolitano) e sulla responsabilità civile dei magistrati. Ovviamente su posizioni opposte, ma altrettanto polemiche si è schierato il Pd e, ugualmente contrario, per partito preso, l’Idv, in una sorta di scontro, cui ormai da tempo siamo tristemente abituati, tra veri o presunti giustizialisti e garantisti, a seconda delle convenienze immediate ed elettorali.



Purtroppo si deve constatare che la giustizia e le sue indispensabili riforme scatenano, ogni qual volta si cerchi di attuarle, il volto peggiore della politica: immediatamente si scade nella rissa, nei “ricatti”, nell’arroccamento delle proprie posizioni ideologiche e un bene così importante e delicato diventa inevitabilmente “merce di scambio”, alla faccia del bene comune e dell’interesse dei cittadini.



Continuiamo a pensare che le riforme, in tema di giustizia, non debbano essere fatte sull’onda emotiva dello “scandalo attuale” o dell’interesse particolare dell’uno o dell’altro partito: la vicenda di Napolitano, ad esempio, ha certamente riacceso un faro sul problema delle intercettazioni, tuttavia è una problematica molto particolare e tesa alla difesa delle prerogative proprie del presidente della Repubblica (su cui, peraltro, è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale), diversa dalla tutela dell’indagine o della privacy e dell’immagine del cittadino intercettato.



Difficile indicare una priorità assoluta in un sistema giustizia che non funziona nel suo complesso e che è certamente stata una delle cause che hanno messo in ginocchio la credibilità e l’economia del nostro Paese: tuttavia, ritengo utile che da qualche parte si cominci, visto l’immobilismo riformatore degli ultimi vent’anni, a condizione che si proceda con cautela, cercando il più possibile soluzioni condivise o, perlomeno, che ognuno degli attori in causa sia disponibile ad arretrare su alcune posizioni, in nome di un interesse collettivo che si fa sempre più fatica a ritrovare come criterio dell’azione politica, da parte di tutti gli schieramenti. Allora, ecco alcuni sintetici spunti sulle ipotizzate riforme di cui si discute.

Certamente dagli anni di Mani pulite si è sentito il bisogno di dotare il Paese di una normativa più efficace contro la corruzione dilagante che era emersa e che non è stata sconfitta dall’azione giudiziaria: adeguare alcuni articoli del codice penale, inasprendo le pene al fine di aumentare la deterrenza e introdurre nuove fattispecie (come la corruzione tra privati) è sicuramente necessario, anche se il problema non si risolve esclusivamente per via giudiziaria, ma ripensando il sistema della rapporto dei cittadini e degli imprenditori con la pubblica amministrazione. Attenzione, inoltre, all’introduzione del nuovo reato c.d. di traffico di influenze illecite che, se troppo generico, si presta ad interpretazioni discrezionali della magistratura che rischiano di favorire abusi che, viceversa, dovrebbero essere limitati il più possibile favorendo la certezza del diritto: questa è una fattispecie sulla quale sarebbe molto importante trovare un punto di equilibrio condiviso.

Con riguardo alla riforma in tema di intercettazioni telefoniche, bisogna salvaguardare lo strumento investigativo oggi più che mai indispensabile nella società della comunicazione, senza renderlo troppo ferraginoso per i magistrati che legittimamente lo utilizzano: ciò che va combattuto e regolamentato è la diffusione dei contenuti sui mezzi di comunicazione, durante la delicata e segreta fase delle indagini, che ne stravolgono lo scopo, estrapolando in modo spesso parziale, distorto e strumentale i contenuti delle conversazioni, instaurando processi sommari e rendendo un pessimo servizio alla cronaca, con grave danno agli indagati e all’amministrazione della giustizia (non vi è chi non veda l’urgenza di intervenire per arginare un fenomeno ormai fuori controllo…). 

Anche l’invocata riforma della responsabilità civile dei magistrati è certamente necessaria: una funzione così invasiva nella vita dei cittadini non può andare esente da responsabilità in caso di abusi, errori o incompetenze gravi. Tuttavia, essa va studiata in modo da contemperare tale esigenza, con quella altrettanto indispensabile di garantire l’indipendenza di giudizio e di azione del magistrato: vi sono, negli ordinamenti più simili al nostro, modelli cui ispirarsi ed è auspicabile, anche in questo caso,  uno sforzo di condivisione per la rilevanza del problema.

Accenno, infine, ad una riforma altrettanto improcrastinabile su cui si è recentemente espresso il ministro Severino, ossia quella della professione forense: il ministro ha giustamente osservato che in Italia la categoria degli avvocati è particolarmente dequalificata e questo è un male per la giustizia, per l’economia e per l’immagine del paese, proponendo in accordo con il ministro dell’Istruzione, Profumo, di introdurre alla facoltà di giurisprudenza, dopo un triennio base, l’obbligo di scegliere in modo irrevocabile l’indirizzo forense, o quello per diventare magistrato o notaio. Non si può non condividere la preoccupazione del ministro e contrastare ogni ipotesi di liberalizzazione di una professione che garantisce il diritto costituzionale di difesa e che deve essere regolamentata nell’interesse dei cittadini che ne usufruiscono. Si consiglia, tuttavia, di prendere in considerazione una diversa  formula: prevedere dopo un triennio base di studi, l’accesso a numero chiuso (con test di accesso) ad un successivo biennio che permetta di intraprendere la strada sia dell’avvocatura, sia della magistratura sia del notariato, in alternativa ad un biennio aperto per tutti gli altri sbocchi professionali (evitando così di costringere lo studente a scegliere prematuramente lo sbocco ad un’unica professione).

A pochi mesi dal probabile confronto elettorale, nell’affronto dei temi della giustizia, i partiti e i loro leader hanno la possibilità di mostrare ai cittadini di aver effettivamente intrapreso un rinnovamento del modo di intendere il loro ruolo. Viceversa – e i primi segnali in tal senso non sono incoraggianti – se prevarranno i vecchi schemi e le solite logiche, avremo l’ulteriore conferma che gli attuali rappresentanti del sistema politico sono inadeguati alle emergenze del Paese e i cittadini dovranno avere la lucidità e il coraggio di premiare chi si affaccia sulla scena politica con volto e idee nuove ispirate all’alto valore di servizio che deve essere la rappresentanza e il  governo di un stato.