“Vanno introdotte sanzioni efficaci che fungano da deterrente sia per chi diffonde notizie coperte da segreto (sia investigativo sia d’ufficio) ma anche nei confronti di chi le pubblica: e dovrebbe essere coperto da segreto tutto quello che non ha rilevanza ai fini di un procedimento penale”. Ad affermarlo è Marcello Maddalena, Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino, a proposito della riforma della giustizia che la settimana prossima ricomincerà il suo cammino in Parlamento. Per il magistrato, “al fine di combattere efficacemente la corruzione la cosa più importante non è moltiplicare le fattispecie di reato ma rompere il legame omertoso tra il corrotto e il corruttore, con una legislazione premiale per chi denuncia le violazioni della legge come avevano sostenuto nel 1994 i magistrati del pool di Milano”.
Procuratore Maddalena, come è possibile evitare gli abusi nell’utilizzo delle intercettazioni telefoniche?
Il problema maggiore non è l’abuso nell’effettuazione delle intercettazioni, ma il loro utilizzo e la loro diffusione per scopi diversi da quelli della repressione penale. L’art. 15 della Costituzione afferma che “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”: la limitazione di tale inviolabilità garantita costituzionalmente è giustificabile solo per la repressione di fatti di reato. Dovrebbe essere quindi vietata severamente l’utilizzazione e ancora di più la diffusione del contenuto intercettazioni al di fuori di tali limiti”.
Quali sono i limiti di questa “inviolabilità”?
Sempre secondo la Costituzione, “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. L’unica deroga cioè può essere rappresentata dal fatto che l’autorità giudiziaria nel corso di indagini penali, al fine di scoprire gli autori di determinati reati, ritenga indispensabile ricorrere a questo mezzo estremo, estremamente invasivo della sfera personale di ciascuno. Ed è ovvio ed anche giusto che poi, una volta esercitata l’azione penale, le conversazioni e comunicazioni penalmente rilevanti siano destinate prima o dopo a diventare pubbliche e a poter essere pubblicate. Al di fuori di questi casi, non ci deve essere, a mio avviso, nessuna possibilità di pubblicazione.
Come si può evitare che le intercettazioni finiscano sui giornali?
La pubblicazione di ciò che dovrebbe restare segreto deve essere punita in modo efficace, cioè in maniera che la sanzione possa costituire un deterrente. Si può stabilire che una notizia resti o meno segreta, si può ampliare o diminuire l’ambito di ciò che è riservato. Ma se una cosa è segreta l’illecita diffusione è un fatto grave e non un fatto bagatellare: di qui l’esigenza di una sanzione, penale o civile o amministrativa, ma che sia comunque efficace rispetto allo scopo. In uno Stato serio, quanto è segreto deve restare tale.
Che cosa ne pensa della questione delle intercettazioni relative a Napolitano?
Nel conflitto tra la Procura della Repubblica di Palermo e il capo dello Stato, secondo me uno degli scenari possibili è che, ove ritenga che l’interpretazione data dalla Procura di Palermo sia esatta, la Corte costituzionale sollevi davanti a se stessa la questione di legittimità costituzionale della normativa che disciplina le modalità con cui si arriva alla distruzione delle registrazioni delle conversazioni del Presidente. Quest’ultima non prevede infatti che tra le prerogative del presidente della Repubblica ci sia la non intercettabilità (e la non registrabilità) occasionale e indiretta delle sue conversazioni e comunicazioni.
Condivide i contenuti del ddl anti-corruzione?
Quello della corruzione è un problema grave, sia in ambito italiano sia nel resto del mondo. In misura maggiore o minore, è sempre esistito e continuerà a esistere. Norme più rigorose, soprattutto al fine di evitare la prescrizione dei reati, sono sicuramente utili e necessarie, così pure come l’istituzione di commissioni per prevenire questo fenomeno. Il punto fondamentale in relazione alla corruzione è però l’accertamento dei fatti. Possiamo anche moltiplicare i reati che sulla carta sono perseguibili, ma se poi in concreto non vengono trovati gli autori dei fatti non abbiamo affrontato efficacemente il problema. Come ho detto, ritengo perciò sacrosanta l’idea avanzata nel 1994 dal Pool dei magistrati di Milano, i quali pensarono di rompere il legame omertoso tra il corrotto e il corruttore proponendo una legislazione premiale per il corruttore che denunci le violazioni della legge.
E’ a favore dell’introduzione della responsabilità civile dei magistrati?
E’ una proposta che giova soprattutto alle parti più forti e potenti, mentre nuoce alla possibilità di avere una giustizia uguale per tutti. Se può essere tenuto a rispondere anche in forma pecuniaria della possibile erroneità delle sue decisioni, al di fuori dei casi di dolo o di colpa grave nei modi attualmente previsti, il magistrato sarà portato, anche inconsciamente, a considerare i danni che dalla, sua decisione possono derivargli e ad opera di chi. Ad esempio, nel civile, se da una parte c’è una multinazionale e dall’altra una persona priva di mezzi, nel magistrato potranno prodursi quelli che in ambito calcistico si chiamano i “timori reverenziali” e che anche in quell’ambito pare abbiano provocato qualche guaio.
(Pietro Vernizzi)