Chi lo spiega ai ministri professori di questo governo che l’Italia non è esattamente una cosa tonda e liscia come una palla di biliardo? Ieri il ministro professor Fabrizio Barca, oggi titolare del dicastero della coesione territoriale, ma con in curriculum insegnamenti di Politica economica, di Finanza aziendale e di Storia dell’economia presso le Università Bocconi di Milano, Modena, Parigi (SPO), Siena, Roma e Parma, ha presentato al Corriere.it l’ultima sua idea. «Due bandi per 100 ricercatori italiani ed europei chiamati a diffondere la loro professionalità a chi intravede un futuro pieno di incognite: i laureandi delle regioni meridionali. Destinatari di questo programma per ora in via sperimentale, invece, sono i “ragazzi” del Sud delle facoltà di ingegneria, fisica, matematica, medicina, sociologia ed economia». Il tutto grazie a una somma stanziata di 5,3 milioni di euro. La parola chiave che il ministro rivendica nell’annuncio è “contaminazione”: «Contaminare i ragazzi del Sud, incoraggiandoli ad arricchirsi anche attraverso un’esperienza all’estero». A supporto della sua tesi rivendica quel dato di 42% di laureati nelle regioni meridionali che secondo l’ultima rilevazione Istat è senza lavoro.



Ora, fatte salve le buone intenzioni del ministro Barca, ancora una volta c’è un gap tra la realtà e le teorie. Per cui si guarda alla realtà come a un laboratorio in cui dati di contesto, finiscono per essere delle varianti trascurabili. E la realtà, fatta rotonda come una palla di biliardo, finisce per essere vista come se dappertutto potessero innescarsi dinamiche in stile americano: largo ai migliori e investiamo su una società di eccellenti.



Ma le cose non stanno così e una volta creata l’opportunità per quel manipolo di fortunati primi della classe, la sostanza delle cose per le centinaia di migliaia di giovani oggi parcheggiati in quel limbo che non è più studio e, date queste premesse, non sarà mai lavoro, non cambierà di una virgola. Non è bello pretendere di dare suggerimenti a un professore, ma se si osserva la realtà del Sud (e i problemi sono uguali anche al Nord, anche se con numeri meno drammatici) è quello della formazione dei giovani.

Del non senso di una preparazione completamente scollegata dalle esistenti o potenziali opportunità di lavoro in quelle determinate realtà territoriali. Proprio il numero del mensile Vita di settembre lancia il tema delle migliaia di posti di lavoro che oggi in Italia non trovano persone sufficientemente preparate a coprirli. E che quindi in una situazione di drammatico calo di occupazione, rischiano di restare vuoti. Sono i lavori che schematicamente si raccolgono nei settori della cura, dell’artigianato e della cura dei beni culturali. Solo per dare un numero: il settore delle cure domiciliari se dovesse portarsi ad un livello che è metà di quello inglese (ed è un percorso obbligato se si vogliono tenere sotto controllo i costi della sanità) avrà bisogno di quasi 200mila nuovi addetti. Non è meglio, invece che accendere nuovi sogni per pochi, strutturare percorsi che aprano opportunità per molti? Certo, pensare che nel futuro di un ragazzo ci sia da accudire un vecchietto e non da fare brillanti ricerche per Silicon Valley è meno appealing e forse non fa grande effetto a livello della politica “grandi annunci”; ma certamente è cosa molto più concreta. E soprattutto è cosa che riguarda molti e non un’elite. Perché oggi per il Sud e non solo per il Sud la sfida obbligata è quella di dare risposte che valgono per tanti e non per pochi. E se di “contaminazione” i nostri giovani hanno bisogno, è quella che li porti a mettere di nuovo le mani nella realtà: cioè a sapere di nuovo “usare” le mani, in professioni concrete, facendo i conti con le domande vere del mercato. E anche con le tante e grandi opportunità inesplorate che una realtà come quella italiana può riservare.