Tanti dubbi e una sola certezza: la mafia non agì da sola. I rapporti tra Stato italiano e criminalità organizzata siciliana, però, non si svilupparono in una vera e propria “trattativa”, bensì in “una tacita e parziale intesa tra parti in conflitto”. A scriverlo è Beppe Pisanu, presidente della commissione Antimafia, a conclusione della inchiesta sulla trattativa e le stragi del ’92-93. Quello che attraverso la relazione si tenta di spiegare è che i vertici istituzionali dell’epoca erano all’oscuro di tutto, mentre uomini dello Stato, privi di un mandato politico, instauravano contatti con Cosa nostra nel tentativo di metter fine alle devastanti stragi di quegli anni. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Giuseppe Ayala, ex magistrato del pool antimafia di Palermo, nonché collega e amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ayala, come giudica le conclusioni illustrate da Pisanu?
Contatti e relazioni tra Cosa Nostra e pezzi della politica italiana fanno parte integrante della storia d’Italia. Probabilmente non esiste periodo, nella storia del nostro Paese, in cui tali rapporti non siano esistiti, in qualunque ambito. Cosa sia accaduto nel dettaglio, nella cosiddetta trattativa tra Stato e mafia ovviamente non posso saperlo ma, dagli sforzi effettuati dalla Procura di Palermo e da quanto visto fino ad ora, sembra ormai chiaro che concreti contatti siano avvenuti in più di un’occasione.
Pisanu dice che ci furono tra le due parti convergenze tattiche, ma strategie divergenti: i carabinieri del Ros volevano far cessare le stragi, i mafiosi volevano invece svilupparle fino a piegare lo Stato. E poi si chiede: piegarlo fino a qual punto? All’accettazione del papello o di qualche sua parte?
Onestamente devo dire che se il papello (il documento con l’elenco delle richieste per interrompere la stagione delle stragi, ndr) venisse considerato come il reale obiettivo di Cosa Nostra, mi unirei alle critiche della sua autenticità, visto che, per esempio, al primo punto vi era la revisione della sentenza del maxi-processo. Mi dica lei quale autorità politica può avere tale facoltà su un atto eminentemente giudiziario e legato a tutta una serie di presupposti previsti rigorosamente dal Codice…
Cos’è dunque più ragionevole pensare?
E’ molto più probabile che il vero obiettivo fosse l’allentamento del regime del carcere duro, il 41 bis. Obiettivo per altro raggiungibile, visto che, come molti forse non sanno, l’applicazione di questo regime speciale è di competenza del ministro della Giustizia, non dell’autorità giudiziaria, quindi si tratta indubbiamente di una richiesta più plausibile. Credo che la mafia abbia semplicemente cercato di alzare il proprio potere contrattuale con le stragi, non solo attraverso quella di Borsellino, probabilmente accelerata proprio dal fatto che era nata la trattativa.
Cosa accadde quindi dopo?
Questo ovviamente non è facile dirlo, ma dal punto di vista temporale abbiamo come riferimento le stragi del ’93.
Cosa intende?
Se ci si fa caso, le stragi di Roma, Firenze e Milano sono avvenute tutte dopo la nascita del governo Ciampi, di fatto il primo governo tecnico che sancisce l’avvenuto e conclamato indebolimento del sistema del potere politico sotto i colpi di Tangentopoli.
La mafia come reagisce?
La mafia ovviamente avverte questo forte indebolimento della politica e quindi anche dei suoi interlocutori che, dobbiamo presumere, avesse al suo interno. Di conseguenza Cosa Nostra pensa di alzare il potere contrattuale ricorrendo a un tipo di strategia non abituale, cioè quella di uccidere al di fuori della Sicilia. Dico inusuale perché la mafia solitamente consuma le uccisioni cosiddette “eccellenti” in Sicilia, a Palermo. La strategia, inoltre, assume una forte connotazione terroristica.
5 vittime a Firenze, altre 5 a Milano e nessuna a Roma. Ma c’è anche la mancata strage allo Stadio Olimpico della capitale…
Esatto, che probabilmente sarebbe stata la più devastante di tutte se quel telecomando avesse funzionato e se quella Lancia Thema imbottita di tritolo fosse esplosa. In tutti questi casi, quindi, si registra un innalzamento del potere intimidatorio della mafia, a mio giudizio effettuato con la convinzione che l’interlocutore politico fosse ormai indebolito e facilmente convincibile.
Pisanu continua: “Formalmente la trattativa si concluse nel dicembre 1992 con l’arresto di Vito Ciancimino”. Un mese dopo fu arrestato Totò Riina. “Se i due arresti fossero riconducibili in qualche modo alla trattativa, quale sarebbe stata la contropartita di Cosa Nostra? La mancata perquisizione del covo di Riina e la garanzia di una tranquilla latitanza di Provenzano?”. Cosa ne pensa?
Sono domande assolutamente legittime e fondate che ovviamente mi pongo anche io e a cui vorrei dare una risposta. Quello che sicuramente posso dire è che, ancora oggi, francamente mi chiedo come sia stato possibile che per 19 lunghi giorni (dal momento in cui avvenne l’arresto, ndr) nessuno si sia preoccupato di perquisire il covo di Riina. Non mi si venga a dire che è stata un’incolpevole trascuratezza, perché si offenderebbero solamente le intelligenze di tutti gli italiani. Il vero problema italiano, però, è un altro.
Quale?
Che nonostante i quesiti che pone Pisanu siano decisamente legittimi, rimangono ancora tali. Parliamo di fatti che hanno drammaticamente segnato la storia d’Italia 20 anni fa, ma ancora siamo agli interrogativi.
Un’ultima domanda: Pisanu si dice convinto che, se Cosa Nostra è ancora forte e temibile, “dobbiamo riconoscere che dagli anni 80 a oggi ha perso nettamente la sua sfida temeraria allo Stato”. Crede sia vero?
Quello che posso dire è che dal 1993 la mafia non fa più vittime eccellenti. Questo è un dato oggettivo e credo che indichi un ritorno della mafia alla sua strategia “tradizionale”, cioè quella di evitare lo scontro militare con lo Stato. Probabilmente, quindi, ha valutato che tale strategia non ha pagato, ma questo non vuole assolutamente dire che la mafia sia indebolita o meno forte. Anzi, evitando lo scontro diretto e togliendosi di conseguenza dai riflettori, in qualche modo si rivela ancora più subdola e pericolosa.
(Claudio Perlini)