Il povero Jean Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, parlando al Parlamento dell’Unione Europea, ha scatenato, con tutta probabilità involontariamente, una specie di pandemonio con un riferimento a Carlo Marx. Juncker, a onor del vero, è forse il meno burocrate in quel consesso europeo e anche il più aperto alle questioni di carattere sociale. Ma alla fine il pasticcio è avvenuto lo stesso. Il Presidente dell’Eurogruppo ha detto che bisogna ritrovare la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria “con misure come il salario minimo in tutti i Paesi della zona euro, altrimenti perderemmo credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Marx. I tempi che viviamo sono difficili, non dobbiamo dare all’opinione pubblica l’impressione che il peggio sia alle nostre spalle perché ci sono cose da fare molto difficili”. 



Sui siti internet, anche di grandi quotidiani, si è scatenato il finimondo, sia per il riferimento ideologico ma anche per l’enorme sforzo economico che questo comporterebbe. Ne è venuto fuori un polverone culturale-ideologico che tuttavia merita una riflessione. Dario Fertilio è uno dei grandi corrieristi rimasti in via Solferino. È vicecaporedattore alle pagine della Cultura, ma non è solo un bravo giornalista. Fertilio è uno scrittore raffinato che ha pubblicato libri che sono ormai dei “classici” sul dibattito culturale. Ne citiamo due per brevità: “Le notizie del diavolo. La parabola ignota della disinformazione” del 1994. E “Arrembaggi e pensieri. Conversazione con Enzo Bettiza”, scritto a quattro mani nel 2001. L’impegno di Dario Fertilio non si è fermato agli articoli di giornale e alla scrittura di libri, perché Fertilio è il cofondatore, con il famoso dissidente russo Vladimir Bukovskij, dei “Comitati per le libertà”, una struttura internazionale di cui Bukovskij è presidente generale, che raggruppa esponenti liberaldemocartici di tanti Paesi e che ha un sito internet di grande rilievo: www.libertates.com.



Scusi Fertilio, a parte questa dichiarazione, con relativa citazione di Marx fatta da Jean Claude Juncker, non vede una ripresa dell’ideologia in molti Paesi europei?

Certo che si vede chiaramente una ripresa delle ideologie, sia di destra che di sinistra. Bisogna chiedersi a che cosa sia dovuta questa ripresa delle vecchie ideologie. Io penso che sia una sorta di salvagente e anche un’arma offensiva in un momento di grande incertezza. Viviamo un periodo di grande crisi, di grande confusione. In fondo questa crisi economica ci ha tolto il futuro e anche il presente. Alla fine scatta un meccanismo psicologico che ti spinge verso l’ideologia.



Lei avverte una preoccupazione di recrudescenza ideologica?

Sì, l’avverto e ne sono ovviamente preoccupato. Mi rendo conto che c’è una fuga verso le ideologie di fronte al “macello di tutte le certezze” che avevamo. Ripeto: è una sorta di difesa psicologica, ma è un fatto pericoloso. Spesso noi facciamo dei paragoni tra questa crisi economica e quella del 1929. È un paragone calzante. Ma c’è anche un altro paragone che si potrebbe fare, quello con il primo dopoguerra, dopo il 1918. Enzo Bettiza descrive bene quel momento: “Dopo la grande guerra, dal macello delle certezze uscì un personaggio come Hitler”. Sono solamente pensieri. Anche i paragoni vanno contestualizzati. Certamente questa grande crisi spinge verso un ritorno alle ideologie.

Vorrei spostare il discorso su un altro aspetto dell’ideologia. Siamo entrambi grandi amici di Vladimir Bukovskij. Lo abbiamo conosciuto e ascoltato in questi anni, abbiamo letto i suoi libri. È un conforto saperlo nella quiete di Cambridge rispetto a quando, a 19 anni appena, veniva arrestato a Mosca e trascinato nel palazzo della Lubjanka. Un grande lottatore, un eroe del dissenso, che però non risparmia critiche durissime alla burocrazia ideologica della stessa Unione Europea.

Un grande uomo che viene spesso tacitato, non preso in considerazione. Io ricordo quando diventò presidente dei “Comitati delle libertà” e paragonò l’Unione Europea all’Unione Sovietica. Questo lo diceva a me, a lei, a tutti quelli con cui parlava ancora negli anni 90. Poi, nel duemila, arrivò a teorizzare quello che è il titolo del suo libro del 2007, scritto con Pavel Stroilov: “Eurss. Unione europea delle Repubbliche Socialiste Sovietiche”. Un pesantissimo schiaffo all’Unione Europea. Direi di più: una pesante condanna.

Bukovskij parlava sempre della burocrazia europea, di una burocrazia soffocante, di uno Stato o un super-Stato che invadeva la vita degli uomini e che comprimeva, spesso cancellava la sovranità nazionale.

Su questo punto Bukovskij non ha tutti i torti. Guardiamo all’ultimo giudizio della Commissione europea sulla tassa dell’Imu, tanto impopolare in Italia. Indipendentemente dal giudizio, perché la Commissione europea deve dare questo giudizio? È chiaramente un attacco alla sovranità dell’Italia. È incredibile che l’unico che abbia sollevato tale questione di sovranità sia stato un grande economista italiano come Francesco Forte. Ma a parte questo ultimo episodio, il ragionamento su Eurss di Bukovskij parte da ricerche storiche su documenti trovati negli archivi di Mosca.

Vladimir Bukovskij è ritornato spesso in questi anni nel suo Paese per andare a leggere le carte degli aguzzini che lo torturavano. Ne ha scoperte di nuove?

Lui ha trovato del materiale che lo ha impressionato. Si è imbattuto in un documento, in un verbale che riportava una riunione del Politburo del 1987, alla vigilia praticamente della caduta dell’impero sovietico. La riunione si svolgeva sotto Gorbacev. In quel resoconto c’erano alcuni punti che Gorbacev spiegava con chiarezza, ma anche con brutalità ai suoi compagni del Politburo. Il primo punto era questo: “Non facciamoci più illusioni. Siamo ormai alla fine e il modello sovietico sta crollando”. Il secondo punto seguiva in questo modo: “Noi dobbiamo esportare il modello sovietico all’estero. Noi possiamo sopravvivere attraverso i canali dell’Unione Europea con l’aiuto dei nostri amici della sinistra socialista occidentale”. Dopo questa riunione del Politburo, ci fu un lungo via-vai a Mosca di leader comunisti dei Paesi europei che andarono a incontrare Gorbacev. Per gli italiani ci andò Alessandro Natta.

Bukovskij rimase impressionato da questo documento, perché?

Per lui era la prova dell’esportazione del modello sovietico in Europa. La sopravvivenza del centralismo sovietico aveva infettato l’Unione Europea.

Ma oggi tutto si complica. Perché, come in un gioco degli specchi, il ritorno all’ideologia per molti è una ribellione a quella che, secondo Bukovskij, è un’ideologia burocratica.

Qui ci sono alcuni ragionamenti che vanno considerati. Paragoniamo l’ideologia a un virus, che ha bisogno per crescere della massima espansione. Poi, al culmine, il virus decresce e lentamente si spegne. C’è poi un’ambiguità dell’ideologia. Da un lato garantisce progresso, dall’altro resta sempre una malattia, un virus appunto. Si può affermare che l’Unione Europea ha garantito nella sua fase di espansione almeno elementari regole di democrazia ad alcuni Paesi che erano nel blocco comunista. Ora c’è una reazione, una sorta di ribellione. Sono ipotesi di studio. Ma con i tempi che viviamo mi sembra giusto prenderle in considerazione.

(Gianluigi Da Rold)