Il premier Mario Monti “ha autorizzato l’invio alle competenti commissioni parlamentari di uno schema di decreto del presidente del Consiglio che destina 16 milioni di euro, facenti parte del fondo della Legge di Stabilità, all’attività lavorativa dei detenuti”. E’ quanto si legge in un comunicato di Palazzo Chigi. Ilsussidiario.net ha intervistato Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Rebus, che da oltre vent’anni si pone come obiettivo il recupero e la valorizzazione della persona detenuta in carcere.



Boscoletto, che cosa ne pensa dei fondi destinati da Monti ai carcerati?

E’ sicuramente un gesto coraggioso, positivo, dovuto, non solo perché l’Europa ha richiamato l’Italia per una situazione indecorosa. Tutti sapevano che siamo completamente fuorilegge, ma qui c’è stata la tenacia e la volontà del ministro della Giustizia, Paola Severino, grazie alla cui proposta il presidente Monti e il Consiglio dei ministri hanno approvato la destinazione dei 16 milioni di euro. Come affermato però nel comunicato della cooperativa Rebus, dal titolo “Promessa mantenuta: non bisogna abbassare la guardia”, tutto il mondo delle cooperative, delle associazioni, degli operatori penitenziari è contemporaneamente contento ma preoccupato. Il decreto del presidente del Consiglio dei ministri sarà infatti consegnato alle due commissioni di Camera e Senato per la ratifica che deve avvenire entro 20 giorni.



Perché questo la preoccupa?

Come è già avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 dicembre, quando furono scippati i soldi del lavoro penitenziario, ancora una volta queste commissioni parlamentari hanno la facoltà di cambiare destinazione ai 16 milioni di euro. Un “furto” è già avvenuto, siamo di fronte al richiamo europeo sulla situazione delle carceri italiane, e speriamo quindi che non si ripeta ciò cui abbiamo già assistito. Sappiamo però che ci stiamo avvicinando alle elezioni, e temiamo il pericolo di qualche ulteriore colpo di spugna.

Qual è quindi l’auspicio delle cooperative che operano in carcere?



Chiediamo quindi a tutti gli italiani di sorvegliare su questa situazione, in modo tale che qualsiasi cosa non regolare succeda sia fin da subito sotto gli occhi di tutti. Ci appelliamo ai due presidenti della commissione Bilancio del Senato e della Camera, Antonio Azzolini e Giancarlo Giorgetti, affinché siano i garanti del fatto che non entrino in gioco principi e spartizioni che non hanno niente a che vedere con un bene per tutti.

La situazione nelle carceri italiane è davvero così grave come sostiene la Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo?

Le carceri italiane sono peggiori di quanto ha dichiarato la corte di Strasburgo. Quest’ultima si è limitata all’aspetto del sovraffollamento, inteso come metri quadrati a disposizione. Ma la qualità della vita non è data dai soli metri quadri. Uno può vivere in cento metri quadri, ma avere una qualità della vita scarsa. Nelle nostre carceri infatti la sanità penitenziaria non funziona, l’aspetto rieducativo non è presente, il personale non è a disposizione per svolgere attività formative o scolastiche, mancano educatori, psicologi e psichiatri.

 

Quali sono le conseguenze di tutto ciò?

 

La conseguenza è che la situazione è veramente grave, e non è solo una questione di metri quadri, ma anche di qualità della vita. Una qualità che in carcere non è assolutamente garantita a livelli dignitosi. Non basta quindi rispondere al richiamo europeo in termini di edilizia penitenziaria, pensando che in questo modo si risolva il problema. E’ come pensare di guarire un malato solo per il fatto di ricoverarlo in una stanza più grande. Mentre occorrono dottori, attrezzature, medicine, cioè tutti quegli aspetti che possono farlo guarire. La stanza è il contenitore, ma poi c’è il contenuto.

 

Perché in un momento di crisi come quello attuale vale la pena investire milioni di euro per rieducare delle persone che hanno commesso dei reati?

 

Vale la pena perché economicamente conviene. Per ogni milione di euro investito nella rieducazione dei carcerati, se ne risparmiano nove. Scommettere sui detenuti è un modo quindi per avere maggiori risorse disponibili anche per gli esodati, la sanità, il sociale e le scuole. Dire “hanno sbagliato, che paghino loro”, è un punto di vista che non tiene conto del fatto che alla fine paghiamo noi. Tra costi diretti e indiretti, la collettività spende 250 euro al giorno per ciascun carcerato, cioè poco meno di 100mila euro l’anno per ciascuno. E siccome a lavorare sono solo 850 detenuti su 66mila, e la recidiva reale è tra il 69 e il 90%, significa che noi ogni anno spendiamo miliardi di euro per creare l’università del crimine che sforna delinquenti peggiori di come lo erano prima.

 

(Pietro Vernizzi)