Caro direttore, in rapporto al dibattito provocato dal recente Comunicato di CL sulla situazione politica, mi permetto di esporre qualche considerazione in merito ad osservazioni rese pubbliche in questi giorni da Vignali e da Simone.

Mi pare davvero un po’ riduttiva l’interpretazione che Vignali dà dell’espressione “irrevocabile distanza critica” usata da don Giussani per indicare l’atteggiamento dei Ciellini nei confronti di chi fa politica. Vignali sottolinea: che  il termine “Critica” è usato “nel senso di giudicare, di giudizio”: Ok; che la parola “distanza” è usata come nell’esperienza estetica di fronte ad un quadro: “per vedere bene un quadro ci vuole la giusta distanza”: ancora OK, anche su questo sono d’accordo; mi pare però che Vignali non dica nulla su quell’aggettivo così perentorio: “irrevocabile”.



Io credo che questo aggettivo sottenda questo ragionamento: la politica, che parte sempre da una motivazione culturale e ideale, da quella che, traducendo alla lettera l’espressione tedesca weltanschauung, potremmo chiamare “mondo-visione”, è sempre inadeguata di fronte ai risultati concreti che riesce a realizzare, perché difficilmente la soluzione dei problemi offerta dalla politica può essere compiuta e perfetta. E’ naturale che sia così e, mi permetto di dire, è anzi un bene, perché ciò impedisce di credere che la salvezza possa venire dalla politica: quante volte don Giussani ha citato la frase di Eliot che critica gli uomini perché sognano “sistemi così perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono”!



Per questo non mi faccio illusioni sulla politica: è inutile chiedere a Monti di difendere i Valori cristiani. Certo a Bersani non lo chiediamo neppure, per ragioni …culturali; a Berlusconi neppure, per ragioni soprattutto …storiche: quante promesse ha fatto sul tema famiglia, quando aveva grandi maggioranze? E i nostri amici che erano con lui, cosa hanno fatto perché mantenesse le promesse che periodicamente sventolava? Come portavoce del Capo, mi facevano talvolta un po’ pena, perché sembravano spesso impegnati solo a giustificare in modo del tutto acritico ogni sua sortita e ogni sua scelta. I Valori in cui crediamo, che sono l’ossatura della nostra vita, dobbiamo difenderceli noi cristiani: alla politica possiamo chiedere di non ostacolarci, di rendere più agevole il nostro impegno garantendo la piena libertà e sostenendo tutto ciò che giova davvero al bene comune. C’è un po’ di simpatica ironia in quel che S. Paolo scrive a Timoteo: “Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità” (1 Tm., 2, 1-2). 



Che bello sarebbe se tutti coloro che si dicono cristiani e operano in Parlamento, di fronte al tema della libertà educativa o a quello del sostegno alla famiglia fondata sul matrimoni di un uomo e una donna (come richiedono Costituzione e Codice Civile), o sui temi della bio-etica, tutti insieme difendessero quei valori, a prescindere dal Partito di appartenenza, perché prima che di essere militanti di un partito avvertono il bisogno di essere testimoni di una vita umana autentica, da veri responsabili del bene di tutta la comunità!

Avendo anch’io conosciuto don Giussani e quanto diceva, a Simone desidero dire che condivido quasi tutto quello che ha scritto nella sua “Lettera ai ciellini candidati in attesa di giudizio comune”: non possiamo non desiderare di essere uniti in tutto, quindi anche in politica: non posso che essere d’accordo totalmente; ma l’unità in politica non è un dogma di fede e, giustamente, non può essere tale: la Dottrina sociale ha riconosciuto pienamente la possibilità di diverse opzioni politiche, perciò nessuna articolazione della Chiesa, se è tale, cioè se è una delle molteplici forme della vita cristiana, può far coincidere riduttivamente l’appartenenza dei suoi aderenti con una precisa e univoca indicazione elettorale.

Vorrei però che Simone riflettesse bene su quella osservazione che lui stesso cita di don Giussani: “E’ un dolore non trovarsi dello stesso parere, non un diritto conclamato sconsideratamente”. Rifletta su quel “sconsideratamente”. Non essere dello stesso parere è sempre un dolore: non ho alcun dubbio; ma se questo avviene perché “consideratamente” non si condividono certe scelte che – come spesso quelle politiche – sono assolutamente opinabili? Allora le cose sarebbero diverse! Tommaso Moro è stato proclamato patrono dei politici proprio perché ha testimoniato con il suo martirio il primato della coscienza su ogni altra cosa. Quante volte don Giussani ha citato la frase che il Cardinale Newman scrisse al Duca di Norfolk: “Certamente se sarò costretto a coinvolgere la religione in un brindisi al termine di un pranzo, brinderò al papa – se vi farà piacere -, ma prima alla coscienza, e poi al papa”.

Nella lettera apostolica Octogesima adveniens Paolo VI riconosce esplicitamente il pluralismo delle opzioni politiche (nn. 50-51) e dà dei criteri operativi: “Spetta alle comunità cristiane individuare, con l’assistenza dello Spirito santo, – in comunione coi vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà – le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi” (4).

Senza cadere nell’assemblearismo, occorre poi che chi ha responsabilità politiche ed amministrative ricerchi con più assiduità ed in modo più sistematico possibilità di confronto con il popolo degli elettori. Cito ancora Giussani richiamato da Simone: quanti sono impegnati in politica “devono parteciparne (alla vita della comunità) e accettare continuamente che le loro scelte siano sottoposte al giudizio comune, che emerge dalla vita della comunità, dai suoi bisogni e dai criteri che in essa si affermano e trovano verifica”. Sant’ Ambrogio definiva la politica come l’“arte di creare amicizia in città” e il Papa rivolgendosi alle Autorità civili a  Milano, proprio rifacendosi alla “lezione”di Ambrogio, le ha invitate a “farsi amare”. I nostri amici impegnati in politica non dimentichino che, se si facessero amare, sarebbe più facile anche “seguirli”!

 

(Luigi Patrini)


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