Alice Pyne ha vissuto gli ultimi due anni della sua vita con la certezza medica che dalla sua malattia non sarebbe guarita. A soli 13 anni le era stato diagnosticato una forma grave di tumore, che poi due anni dopo è stato giudicato inguaribile. Quando le è stato chiaro che non sarebbe vissuta a lungo, ha compilato una lista di desideri, cose che avrebbe voluto fare prima di morire. Ad agosto dello scorso anno ha realizzato l’ultimo dei desideri che ancora le rimanevano, quello di vedere da vicino e dal vero le balene che danzano nel mare aperto. Poi, qualche giorno fa, è morta.



La sua storia e la sua lista sono diventate un caso sulla Rete: la “bucket list” (dall’espressione inglese “dare un calcio al secchio” che si usa comunemente per indicare la condizione di chi sta per morire) di Alice era famosa, conosciutissima, una storia che ha commosso in molti. Tra i tanti desideri quelli tipici di una ragazzina, ad esempio incontrare di persona i suoi cantanti preferiti. La domanda che viene spontanea è però quanti desideri si possano avere prima che si concluda la propria esistenza: certamente la lista sarebbe infinita. E se Alice non fosse riuscita a realizzarne qualcuno? Basta dare un calcio al secchio, come si intitolava la sua lista, per non sentire il peso di una fine annunciata?



Secondo Lucetta Scaraffia contatta da Ilsussidiario.net, la storia di Alice “fa venire in mente l’approccio orientale tipico del buddismo, per cui l’anima si libera se non ha più desideri. Allora uno cerca di realizzare ogni proprio desiderio in modo da non rinascere più”. Alice dunque poteva in qualche modo essere stata inconsapevolmente influenzata da questo approccio, spiega Lucetta Scaraffia: “Un approccio che certamente contrasta con quello di una persona di cultura cristiana la quale non avrebbe avuto questo tipo di reazione”. Questo, dice, perché di fronte a una condizione estrema come quella di Alice, ma poi nella condizione di ognuno di noi, è il “desiderio” a prevalere piuttosto che l’accumulo di singoli desideri: quello che si sveli il significato stesso della morte e dell’esistenza.



Certamente, dice ancora Lucetta Scaraffia, “l’accumulare i desideri è anche sintomatico del consumismo in cui vive la società occidentale: il consumismo non è solo accumulare beni ma anche esperienze, avere l’idea cioè che una vita ha senso se facciamo molte esperienze. La visione della vita come un’accumulazione”. 

Nella semplicità tipicamente adolescenziale di Alice, però, dice Scaraffia, è possibile che i desideri e il desiderio no si siano esclusi vicendevolmente: “Il bisogno di realizzare i desideri non esclude un percorso spirituale. Certamente vivere per realizzare i propri desideri può essere un modo superficiale di vivere la vita, ma non direi che sia alternativo con il coltivare il desiderio ultimo. Dovendo riempire un periodo di tempo prima della morte, questa ragazza non l’ha vissuto solo con angoscia. Insieme a questo grande desiderio c’era il problema di riempire i propri giorni in modo non angoscioso, deprimente. Il desiderio in sostanza deve convivere con la quotidianità, e forse questo desideri servivano a riempire la quotidianeità di Alice”.