Volto, panîm in ebraico. Nell’antico testamento ricorre ben 400 volte, e 100 sono riferite a Dio. Nozioni di esegesi quasi elementari che Benedetto XVI dispensa nella sua catechesi sempre più mirata a far comprendere il mistero della Rivelazione di Dio. Oggi ai 6mila che affollavano, umidi di pioggia gelata, l’aula Nervi ha parlato di quel Volto che Mosè, i Profeti e i Giudici della Sacra Scrittura non hanno mai visto e che a partire dai discepoli di Emmaus generazioni di cristiani hanno contemplato. Paradosso dell’incarnazione. Al pio israelita non era permesso rappresentare Dio, “vedere il suo volto”, eppure tutto il suo essere cercava un “Tu” con cui entrare in relazione. Non un Dio chiuso nel cielo, a guardare dall’alto l’umanità, ma Qualcuno che ascoltasse, vedesse, parlasse, stringesse alleanze e soprattutto fosse capace di amare. Un Dio che aveva permesso a Mosè confidenza e sfrontatezza, amicizia sincera e fedele, ma che sebbene vicinissimo, aveva concesso al massimo il suo nome, e infine le sue spalle.



Nel capitolo 33 del Libro dell’Esodo si legge “Tu vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere”. Ebbene con l’Incarnazione quel Dio che a Mosè dava la schiena, si volta. La grandezza di Ratzinger, la sua magisteriale sapienza è nell’aver riassunto, in un atto, la storia della salvezza. Cristo è il figlio di Dio che si fa uomo e mostra la fronte, invece che la nuca. Va oltre il segno concreto dell’esserci, la fattualità della presenza e fornisce la determinazione di un Volto, il compimento e la pienezza della contemplazione.



Scopriamo con Benedetto XVI che nella tradizione patristica e medioevale per esprimere questa realtà si usava la formula Verbum abbreviatum, il Verbo abbreviato, la parola breve. In Gesù insomma tutto è presente. Gesù è sintetico. Fin qui potrebbe bastare al fedele assetato di citazioni e metafore facili. Ma il Papa è andato oltre, finendo per raccontare quello che capita anche nel nostro mondo poco avvezzo all’analisi filologica né tantomeno all’esegesi biblica. E cioè che il desiderio di conoscere Dio realmente, non solo non è confinato al Mosè biblico, ma neanche ai semplici credenti.



E’ un desiderio di tutti. Di ogni uomo. Atei compresi. Non c’è bisogno di scomodare la schiera di filosofi che si sono esercitati sul tema per capire che c’è molto di vero in questa affermazione. Tutti prima o poi desiderano che il Mistero si sveli, che quelle spalle si voltino, che si riesca a capire che cosa è, Chi è, Chi è per noi. Ma questo desiderio, avverte il Papa, si realizza seguendo Cristo. Guardando le sue spalle. 

Prima o poi, la sua amicizia si rivelerà, all’improvviso girerà la testa e il Volto si mostrerà nella sua gloria. L’importante è seguire, sempre. E non solo quando quelle spalle sono l’unica cosa a cui aggrapparsi. Seguire quando si è nel bisogno, ma anche quando si macina la vita nel quotidiano, quando si è contenti per la mattinata di sole e quando tutto va storto. Persino i discepoli di Emmaus, ricorda il Papa, che gli camminavano affianco, non avevano riconosciuto Cristo. Hanno dovuto aspettare che lui spezzasse il pane, per vedere finalmente il suo Volto e saziare i loro cuori.