Una sentenza della Cassazione che ha affidato il figlio nato dal precedente matrimonio a una donna che aveva iniziato una convivenza stabile con un’altra donna è diventata subito l’occasione per una strumentalizzazione politica e ideologica sui rapporti tra etica pubblica e libertà individuale. 

Sulle pagine dei giornali i commenti hanno rimesso in campo l’agenda dei valori non negoziabili dettata dal Vaticano attraverso la Cei. Secondo Gilberto Corbellini, tutte le forze politiche di destra e di sinistra faranno a gara per mostrare la propria “osservanza confessionale” in modo da conquistare il voto cattolico. Mario Monti, ad esempio, si è subito affrettato a dichiarare che egli è contrario alle unioni gay e ha messo in lista Gianluigi Gigli che è il consulente della Chiesa per i problemi dei cosiddetti stati vegetativi (vedi il caso Englaro).



Poiché sono convinto che questa è una vera e propria falsificazione dei problemi, e che non è assolutamente legittimo istituire una sorta di guerra dei valori tra i principi professati dalle gerarchie cattoliche e le libertà individuali – così care al mondo dei cosiddetti laici -, cercherò di mostrare come il tema debba invece essere affrontato su un terreno assolutamente diverso. 



Come ha sostenuto sia pure in termini problematici Paolo Rigliano in un’intervista a Delia Vaccarello, pubblicata su l’Unità del 16 gennaio scorso, il punto decisivo della questione è che la filiazione delle coppie omosessuali mette in discussione un assetto antropologico. L’intervista continua sottolineando che le questioni antropologiche, legate all’omosessualità, incidono sulla rappresentazione del desiderio, sulla distinzione fra forma maschile e femminile, sull’identità personale, sul riconoscimento di diritti e doveri e sulla complessiva rappresentazione del rapporto far genitori e figli.  



In passato, commentando le posizioni di Veronesi – più volte sostenute sulla stampa nazionale, in particolare sul Corriere della Sera –, secondo cui la differenza dei sessi fra qualche anno resterà come un pezzo di antiquariato culturale, ho scritto che la messa in discussione della differenza sessuale sconvolge lo statuto antropologico degli esseri umani tramandato da millenni, e apre la porta a ogni sperimentazione senza limiti. Marcela Iacub, in un articolo apparso su Le Monde del 9 gennaio del 2003 e in un libro intitolato Qu’avez-vous fait de la liberté sexuelle?, dopo aver manifestato il massimo odio verso la maternità, ha scritto che bisogna augurarsi al più presto l’invenzione di una macchina simile a una piccola lavatrice, capace di portare a termine la gravidanza al posto della donna. 

In questo contesto culturale, non così minoritario come si pensa, l’eliminazione della maternità viene auspicata come una liberazione definitiva dal dovere imposto alla donna di donare la vita e prendersi cura dei bambini che sono passati dal loro corpo prima di venire al mondo. Stephen Frosh, in un libro del 1991 ha affermato che nell’epoca delle ibridazioni e dell’integrazione fra uomo e macchina tutti gli elementi dell’individuo umano diventano intercambiabili: “una cosa infiltra l’altra dopo aver infranto tutti i limiti, una cosa può essere separata e ricomposta in un ordine diverso da quello precedente”. 

Come si intuisce da questi brevi richiami, confermati da tutta la letteratura più recente (si veda per esempio il libro di Donna Haraway, intitolato Manifesto cyborg), ciò che è in discussione nel problema della filiazione delle coppie gay è il principio della differenza sessuale come costitutivo della personalità e identità degli esseri umani. Non si tratta soltanto del dato naturalistico della distinzione fra la riproduzione scissipara dei microrganismi (che danno vita a una forma di clonazione perpetua) e la riproduzione mediata dalla differenza sessuale (che introduce l’idea della nascita e della morte), ma della rappresentazione mentale dell’impossibilità di un’autarchia totale di ciascun essere vivente umano. La separazione dei corpi della madre e dei figli istituisce già nella forma di consapevolezza emotiva e immaginaria di ciascun essere umano la necessità di riconoscere l’Alterità degli altri esseri umani come limite del sé e come limite invalicabile di ogni fantasia onnipotente di autogenerazione. 

Se ogni essere umano sa di nascere da una donna, e perciò sa anche di dover morire, la sua configurazione psicosociale ne è profondamente influenzata. È veramente singolare che mentre studiosi − non solo laici ma dichiaratamente non credenti − si affannano a studiare il rapporto fra il patrimonio ontogenetico e filogenetico di ogni creatura umana, evidenziando come anche strutturalmente ogni persona è “condizionata” non solo dalle combinazioni neuronali ma anche dalle stratificazioni culturali che interferiscono nella propria autorappresentazione, si affermi poi − come fanno i sostenitori delle tesi apparentemente più libertarie − che il patrimonio di ciascuna creatura che viene al mondo possa essere nella disponibilità arbitraria di ciascun essere umano, donna o uomo che sia. 

La differenza sessuale, così come si è venuta strutturando storicamente nella cultura umana, è alla base non soltanto della rappresentazione del maschile e del femminile come distinti, ma anche della decisiva rilevanza del rapporto fra le generazioni che si succedono. Senza differenza sessuale non è possibile alcuna distinzione fra le generazioni, né si può avere alcuna rappresentazione mentale della genitorialità e della filiazione. In una società indifferenziata tutti diventano figli di tutti. Non sono neppure pensabili le figure archetipe dell’Edipo e dell’incesto che hanno sancito la nostra distinzione dal mondo animale. Come hanno sostenuto insieme a Freud antropologi e studiosi delle civiltà, il divieto dell’incesto ha istituito il salto dalla biologia alla cultura e alla storia. In uno studio di molti anni fa Franco Fornari, analizzando il codice del vivente ha individuato nella fantasia onnipotente del genitore unico, sessualmente indifferenziato, l’origine di tutte le deviazioni psichiche e comportamentali. Nella negazione di ogni differenza è implicata infatti una fantasia onnipotente che tendenzialmente si traduce in forme di pensiero deliranti. 

Nella storia umana l’evento procreativo non può mai essere ridotto al livello puramente zoologico, proprio perché il pensiero della differenza sessuale diventa una componente strutturale del funzionamento mentale dello spazio psichico. I primi riferimenti necessari per costituire un’identità personale sono infatti le rappresentazioni mentali del maschile e del femminile, del materno e del paterno. La nascita dall’utero materno e l’allattamento al seno non sono soltanto eventi naturali ma eventi squisitamente psichici che, dopo la necessaria separazione dalla madre, introducono al mondo delle relazioni interpersonali. Come ha scritto Castoriadis, succhiare il latte dal seno non è un mero fatto nutrizionale ma l’iniziazione al rapporto umano fondato sulla tenerezza e sull’amore. 

 

Proprio per questo, la concezione della coppia uomo-donna, che io ritengo debba essere compresa fino in fondo, consiste non solo nell’accoppiamento dei corpi, ma anche nella comunicazione affettiva delle menti di entrambi che hanno nell’atto del concepimento una rappresentazione contestuale del ruolo di madre e di padre. Il padre infatti introduce nella fantasia femminile anche l’idea del limite e del Terzo, con cui coopera per dare realizzazione al proprio desiderio. Sotto questo profilo, si può ritenere che la coppia è espressione di una vera e propria comunicazione mentale che si traduce nella reciproca rappresentazione dei due partner. In questa configurazione antropologica, l’accoppiamento dell’uomo e della donna è oggettivamente un fatto sociale perché realizza il finalismo di ogni membro della specie all’obiettivo della riproduzione e continuità dello stesso gruppo sociale di appartenenza. Al contrario, un rapporto omosessuale che può essere fortemente intenso e appassionato è di per sé privo di rappresentazione del futuro della coppia e completamente scisso dal rapporto con la continuazione della specie. 

La differenza sessuale, come dicevamo all’inizio, è costitutiva del rapporto con l’alterità, e proprio per questo Freud riteneva, forse un po’ schematicamente, che l’immagine paterna nell’immaginario femminile introduce l’idea del limite e il rapporto con la realtà. Studiando il fenomeno sociale del nazismo, Chasseguet Smirgel ha sostenuto che la cultura popolare tedesca durante gli anni terribili della dittatura avesse costruito un immaginario collettivo fondato su un genitore unico arcaico e sadico che spingeva all’eliminazione dei diversi rappresentati dal popolo ebraico. 

Naturalmente a questa argomentazione che ho sin qui sviluppato si può obiettare che in realtà sto proponendo un modello normativo senza alcuna validità scientifica. Proprio occupandosi di questo tipo di problemi, Corbellini ha affermato che l’etica pubblica non ha alcun rapporto con i risultati delle scienze, specialmente delle neuroscienze, che hanno invece uno statuto epistemologico esclusivamente descrittivo e che perciò offrono soltanto i dati di cui una decisione legislativa deve tener conto. Mi permetto di ricordare che da sempre ho contestato questa distinzione rigida fra descrittività e normatività mostrando che anche la formulazione delle ipotesi scientifiche ha fondamenti normativi già nella stessa distinzione tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è. Nei millenni che ci separano dai nostri antenati ogni distinzione e ogni differenza ha avuto sempre un fondamento normativo che istituisce la responsabilità degli uomini verso la forma di società in cui si organizzano. Negare la strutturale normatività del pensiero significa disconoscere la nostra storia e la responsabilità che noi abbiamo di ciò che ereditiamo del passato e di ciò che progettiamo per il futuro. 

La rilevanza del principio della differenza sessuale nell’istituzione dell’immaginario sociale e delle forme di vita in cui si traduce è il segno più rilevante della nostra libertà e della nostra responsabilità. La normatività del principio della differenza sessuale, in quanto costitutiva dell’identità umana, non significa tuttavia alcun disconoscimento delle coppie omosessuali e del loro diritto a essere trattate giuridicamente secondo lo schema dei diritti e dei doveri che caratterizzano l’ordinamento di una famiglia eterosessuale. 

Mentre dunque io ritengo di poter sostenere che non può essere consentito alle coppie gay di adottare figli o di procrearli attraverso la collaborazione con figure terze rispetto alla coppia, sono fermamente convinto che sul piano giuridico delle tutele riservate alle coppie non debba farsi alcuna distinzione nel trattamento dei diritti e dei doveri di unioni eterosessuali e unioni gay. La libertà di vivere i propri legami amorosi in forme diverse, infatti, non appartiene alla normatività implicata nei modelli di genitorialità e di filiazione che ho descritto. Ovviamente non sono d’accordo con l’utilizzare l’espressione “matrimonio” indiscriminatamente perché essa incarna il valore simbolico del rapporto di coppia fra un uomo e una donna.