Manca solo la firma del presidente Vladimir Putin, e poi la legge che proibisce ai cittadini Usa di adottare bambini russi entrerà in vigore. La norma è stata concepita come una risposta al Magnitsky Act, una legge del Congresso di Washington che proibisce l’ingresso nel territorio Usa e l’utilizzo di conti bancari americani a tutti i cittadini russi accusati di essere coinvolti nell’omicidio dell’avvocato Sergej Magnitsky. Ilsussidiario.net ha intervistato Marco Mazzi, presidente dell’associazione Famiglie per l’accoglienza.



Come valuta la legge anti-adozioni della Russia?

Da una parte non è assolutamente accettabile che ci sia una discriminazione verso uno Stato, in quanto non si vede perché il cittadino di un Paese possa adottare e quello di un altro non lo possa fare. Dall’altra gli Stati Uniti non hanno mai sottoscritto il protocollo dell’Aja per le adozioni internazionali, che prevede rigorosi controlli per evitare qualunque tipo di mercato che coinvolga i bambini. La conseguenza è che nei Paesi anglosassoni c’è la tendenza a fare scegliere il bambino migliore alle famiglie più ricche. Il protocollo dell’Aja al contrario ha sancito delle regole molto rigide, in base a cui l’adozione è consentita solo a due condizioni. La prima è che ci sia uno stato di abbandono reale del minore, la seconda è che degli organismi super-partes valutino l’adeguatezza o meno delle famiglie e il fatto che i bambini non siano in qualche modo “comprati”.



Quali sono gli aspetti problematici delle adozioni da parte delle famiglie Usa?

Gli Stati Uniti sono il Paese che fa più adozioni in Cina, e le agenzie private hanno una convenienza in tutto ciò. Alle famiglie americane che si recano in Cina per adottare possono per esempio essere mostrati dei cataloghi di bambini. Sarebbe auspicabile che gli Stati Uniti firmassero il protocollo dell’Aja sulle adozioni internazionali, in quanto rappresenterebbe un segno di serietà e una garanzia.

In che modo inciderebbe concretamente sulla pratica delle adozioni?

Nei Paesi anglosassoni c’è purtroppo la tendenza ad avere il catalogo dei minori, con dei costi sull’adozione molto elevati anche a seconda delle diverse tipologie di bambini scelti dalle famiglie. Da questa pratica al mercato dei bambini il passo è purtroppo breve. In pratica si apre la porta al fatto che la famiglia paghi per adottare il bambino che sceglie, con il pericolo che dietro ci siano anche delle regole poco chiare sulla definizione dello stato di abbandono. Si corre cioè il rischio che una coppia in stato d’indigenza venda il proprio figlio in cambio di somme elevate.



Una scelta dalle gravi implicazioni morali.

I bambini non si possono scegliere con il catalogo, occorre un’autorità super-partes che decida qual è il bene di quel bambino. Noi siamo contrari al fatto che il criterio sia che chi ha più soldi possa comprare il bambino che preferisce.

 

Qual è l’organismo che in Italia vigila sulla correttezza delle adozioni?

 

In Italia questa autorità super-partes è la Cai, Commissione Adozioni Internazionali, che vigila sulle adozioni da parte di tutti gli enti autorizzati e sui protocolli applicati negli altri Paesi dove è sancito lo stato di abbandono dei minori. In Italia esiste questo organismo nazionale, che si rifà a delle regole internazionali proprio in quanto il nostro governo ha firmato il protocollo dell’Aja.

 

Esiste anche il rischio opposto, cioè che a una famiglia che vuole adottare siano richiesti troppi vincoli burocratici?

 

Anche su questo esiste una vigilanza, in quanto sono stati stabiliti dei tetti di costo. Ciascun Paese ha poi le sue regole, alcuni richiedono una permanenza della coppia adottante anche a lungo, e quindi questo fa lievitare i costi, come pure il fatto che alcuni Stati richiedono una documentazione molto dettagliata. La Commissione Adozioni Internazionali ha però fissato dei tetti di spesa, in modo che non ci sia un’eccessiva penalizzazione per le famiglie, per esempio riducendo i costi legati alle adozioni o rendendoli detraibili.

 

Qual è il principio che sta alla base?

 

Non dovrebbe mai essere l’aspetto economico a essere decisivo in un’adozione. C’è poi l’aspetto della valutazione delle coppie, con l’ottenimento dell’idoneità attraverso i servizi sociali o il tribunale dei minori. Un minore che ha già sofferto una storia difficile deve infatti trovare una famiglia che sia il più possibile capace di fargli compagnia e di accettare la sua fatica, la sua storia e le sue ferite.

 

(Pietro Vernizzi)