Il buon proposito di questo inizio anno è non fare buoni propositi. Non è una massima rubata alle geniali e umanissime striscie di Schulz, popolate da Charlie Brown angosciati dalla fatica del vivere o da Lucy egocentriche e faticose, ma la conseguenza di una perdita di speranza che si registra nel quotidiano. Come se non ci fosse più neanche il desiderio di cambiamento, una possibilità di vita diversa e migliore o l’immaginazione per 12 mesi da riempire con progetti, idee, azioni e semplici buone abitudini. C’è la rinuncia, e non solo alla programmazione, ma anche a qualcosa di imprevedibile e sorprendente che stravolga la vita. Troppa incertezza. Si preferisce il vuoto di libertà e di sogni. Una serenità a buon mercato e una pace fatta da assenza di urgenze e inquietudini.
Ma cosa vorremmo desiderare davvero, se il nostro cuore fosse così ardito da sfidare l’apatia e la paura generata dalla crisi (politica, economica, sociale, culturale, umana)? Ce lo dice Benedetto XVI, ancora una volta impegnato a pronunciare parole impregnate di speranza. Nella giornata mondiale della Pace, mentre cattolici ostinati marciano per le strade di città sonnolente e refrattarie e giovani del mondo si ritrovano, con candele in mano e nenie dolcissime, ad accogliere il 2013 pregando, il vecchio Papa torna a parlare di quella tensione propria dell’essere umano alla felicità e alla pace. Nella celebrazione con cui ha salutato il nuovo anno ha gettato il suo sguardo acuto e mai rassegnato sul mondo, sui tanti «focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato», sulle diverse forme di “terrorismo e di criminalità”. Insomma su quei piccoli e grandi drammi che popolano le nostre giornate, insinuandosi, attraverso un lancio televisivo o un titolo di giornale, nel nostro distratto tram tram.
Sono fatti ed eventi che magari ci sfiorano, mentre ad altre latitudini, sotto altre lune, vanno a segno, tragicamente. Contribuiscono ad oscurare i nostri orizzonti sempre più piccoli, a falsificare il nostro rapporto con la Speranza. Benedetto XVI non si limita a constatare o a denunciare. Va oltre. Osa parlare di “Pace”, parola logorata da celebrazioni inutili e smentite quotidiane, rintracciandola niente di meno che che nel cuore dell’uomo. “In ogni persona – spiega- il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata”. L’uomo è fatto per la pace. Ma come rintracciarla tra problemi, oscurità e angosce?
Ancora una volta, come è accaduto spesso negli ultimi tempi, ci porta alla scuola di Maria, quella giovane donna che di tribolazioni ne deve aver vissute parecchie, incinta di nove mesi, pressata dalla burocrazia imperiale, costretta a trottare su un asino e a sfidare con il suo pancione la notte e le regole semitiche, per affrontare il travaglio e il parto in una stalla. “Ma Maria – racconta il grande Ratzinger – non si scompone, non si agita, non è sconvolta da fatti più grandi di lei”, semplicemente considera, in silenzio, quanto accade, lo custodisce nella sua memoria e nel suo cuore, riflettendovi con calma e serenità. “E’ questa la pace interiore che vorremmo avere in mezzo agli eventi a volte tumultuosi e confusi della storia, eventi di cui spesso non cogliamo il senso e che ci sconcertano”, conclude il Papa. Sembra facile eppure si va nel panico per molto meno.



Un pollo bruciato, il treno perso, la scadenza del mutuo e la caldaia che non funziona. Eppure insiste Benedetto XVI niente può togliere ai credenti questa pace, nemmeno le difficoltà e le sofferenze della vita, che non corrodono, ma accrescono la Speranza. La ragione è nella benedizione di un Dio che ha mostrato il suo nome e il suo volto. Proprio in quella stalla. Ecco allora gli auguri pieni e sinceri al nostro Presidente, all’Italia, al mondo intero. Auguri di pace e serenità. Non un mantra ripetuto all’inizio di un cambiamento astrale, ma la promessa di un viaggio lungo 12 mesi in cui la luce e la grazia di Dio saranno compagne di cammino.

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