Caro direttore,
La riflessione di Luca Doninelli su matrimoni e adozioni gay, che mi chiama “in causa”, comincia con una buona notizia: di sera, tra amici, si parla anche di questi temi. Non era scontato. In Italia la questione dei diritti delle persone omosessuali è troppo spesso lasciata alle prese di posizione poco argomentate di media, politici e vip. Invece occorrerebbe che ci fosse anche – non il ritualmente invocato “grande dibattito” (che è, nella cultura politica italiana, fratello germano della “grande riforma”) – ma tanti piccoli dibattiti che diffondano riflessioni, ipotesi e soprattutto esperienze. Di sera, tra amici.
Sottolineo l’importanza dell’esperienza vissuta perché concordo con Doninelli sui limiti di un dibattito affidato a quegli esperti che “si fermano sui principi generali”. Se si parla di principi generali, si può andare avanti all’infinito. Ci sarà sempre un altro filosofo o psicoanalista che vuole riaprire la discussione. È la prova dei fatti che costringe ad arginarla. Cioè l’esito delle ricerche compiute su migliaia di famiglie omogenitoriali reali. Mi permetto di citare un recentissimo intervento del giurista Alexander Schuster: “Singoli o organizzazioni professionali minori che contestano gli studi che ritengono che non vi sono danni ai bambini ci saranno sempre. D’altra parte, ancora oggi ci sono scienziati che difendono il creazionismo biblico. Occorre però riflettere sul fatto che la comunità scientifica che “conta” (mi si consenta la semplificazione) ha preso oramai una posizione chiara, in America, in Europa ed altrove… In uno dei casi più importanti per l’Europa (celebrato presso la Corte di Strasburgo) chi si opponeva alla omogenitorialità ha potuto produrre un solo articolo scientifico, peraltro molto cauto nell’affermare che vi sono danni. Penso che se le associazioni conservatrici di levatura mondiale e più note non hanno trovato di meglio si possa concludere che la scienza una posizione l’ha espressa con chiarezza”. Il “conformismo” a favore delle famiglie gay lamentato da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera del 30 dicembre scorso è insomma il comprensibile effetto di ricerche che danno risultati omogenei fino alla noia.
Su di essi, ma non a prescindere da essi, è bene che nasca un dibattito tra chi li trova conformi alle proprie teorie e chi invece è costretto a rivederle.
Ma vengo alla questione centrale sollevata da Doninelli: il diritto al figlio. Provate – è facile – a cercare questa locuzione in rete, con Google. Avrete 834mila risultati, in gran parte siti che denunciano l’onnipresente rivendicazione di un preteso diritto al figlio. Ora cercate: “ho diritto a un figlio”, “ho diritto a avere un figlio”, “ho diritto di avere un figlio”. Risultato: praticamente zero. La verità è che il diritto al figlio non viene rivendicato da nessuno. E sì che in rete ci scrivono tutti! Forse si ha paura di ammettere un diritto simile? Ma perchè censurarsi, in quell’impero della provocazione, del radicalismo, dei nick, dei troll che è Internet? E comunque non ci era stata descritta come una rivendicazione ormai completamente sdoganata, egemonica, mainstream?
Io non ho mai conosciuto coppie gay che dicano di avere “diritto a un figlio”. E nemmeno coppie etero che accampino simili pretese. Non esiste il diritto al figlio (e più ti avvicini ad avere figli davvero, più chiaramente te ne rendi conto). Così come, per esempio, non esiste il diritto alla salute. Entrambi si collocano in una sfera che sfugge al controllo umano. Dalle porte dei reparti ospedalieri e dei centri per la procreazione assistita non escono solo famigliole trionfanti ma anche tante persone deluse, a cui le tecnologie mediche avanzate non hanno potuto dare ciò che chiedevano. Esiste, però – esiste eccome – un diritto all’accesso paritario a quei reparti, a quei centri: che si guarisca o no, che il figlio poi nasca oppure no. In linea di principio tutti i cittadini hanno questo diritto (e il principio non può venire intaccato? Certo: ma solo per ragioni specifiche e concrete – il che ci riporta agli studi sulla realtà delle famiglie omogenitoriali).
Tutti hanno questo diritto, per ragioni di giustizia sociale che sono decisamente “di sinistra”, e che riguardano proprio l’“uguaglianza della dignità”. Perché sentirsi dire che non si può sposare chi si ama, o che non si può provare ad avere figli, è una grave offesa alla dignità della persona. Un’offesa che questo paese ha già conosciuto una sola volta (Doninelli, che ha citato Goebbels, mi permetterà di ricordarlo): all’epoca delle leggi razziali. Che vietavano il matrimonio misto e la tutela di minori non ebrei.
Un’ultima riflessione. Spesso – ed è umanamente comprensibile – gli eterosessuali che non riescono ad avere figli si sentono, a un certo punto del loro cammino, defraudati di qualcosa di ovvio, quasi dovuto. Per un gay o una lesbica invece la condizione di genitore è ancora vissuta come un mezzo miracolo. Solo così posso spiegarmi che i papà gay e le mamme lesbiche che ho conosciuto siano tra i genitori più solleciti e rispettosi. Non si tratta di fare classifiche o assegnare trofei. Sono buoni genitori tutti coloro, gay o etero, che riescono a sentire che il loro essere tali non è effetto della genetica e della biologia ma va dimostrato e vissuto giorno per giorno. Credo che in questo modo si attinga alla sostanza effettiva della genitorialità – responsabilità, cura, amore. Il cristianesimo (e non solo il cristianesimo) dovrebbe badare a questo, credo, più che alle forme, ai ruoli sessuali, agli apparati riproduttivi. Perché la sostanza della rivoluzione cristiana sta nell’idea che la lettera uccide, e lo spirito vivifica.