C’era chi chiedeva la scomunica, invece è arrivata l’assoluzione. Anzi, quasi una Benedizione.

La diaspora cattolica, il fatto che membri e anche esponenti di spicco di movimenti ecclesiali militino in partiti differenti? Per la Chiesa, spiega il cardinale Angelo Bagnasco, il presidente dei vescovi italiani, non è un problema. Al contrario. Bisogna guardare avanti e non c’è nessuna nostalgia della Dc, dice in una lunga intervista a Famiglia Cristiana. I tempi, insomma, sono cambiati, e il capo della Cei ne è cosciente. 



Andare avanti, ma con un obiettivo preciso. L’unità non è più nella militanza sotto le stesse bandiere, ma “sui valori di riferimento dall’antropologia cristiana”. Tradotto, vuol dire che l’unità nasce da un cristianesimo vissuto e su cui si riflette, traendo le conseguenze nel vivere sociale, sparsi nei partiti ma compatti nel difendere le cose che contano e che per i cristiani sono essenziali.



Si può (forse si deve) militare sotto bandiere diverse, dice Sua Eminenza, ma “la presenza di esponenti cattolici in schieramenti differenti dovrà accompagnarsi a una concreta convergenza sulle questioni eticamente sensibili”. 

E Bagnasco fa piazza pulita anche di una critica che spesso risuona all’interno stesso della Chiesa: l’accusa, o l’autoaccusa, che insistere sui valori non negoziabili mostra che la Chiesa è meno sensibile ai temi sociali come il lavoro, l’equità, la giustizia, la legalità e l’accoglienza. Bagnasco è netto: “È falso ritenere che i valori non negoziabili siano ‘divisivi’ mentre quelli sociali sarebbero unitivi” dice. “In realtà stanno o cadono insieme. E questo per una semplice ragione: perché i valori sociali stanno in piedi se a monte c’è il rispetto della dignità inviolabile della persona”. E lancia una provocazione: “Se non si rispetta la vita di una creatura indifesa, si avrà forse più attenzione per un lavoratore che è considerato come un peso? Se non si aiuta un anziano privo di autosufficienza, si sarà forse più impegnati a ridurre altre forme di indigenza, come quella degli immigrati? Se la Chiesa si interessa dell’inizio e della ‘fine’ dell’uomo, è proprio per salvaguardare il ‘durante’. Ciò che le sta a cuore è tutto l’uomo, la cui dignità non è a corrente alternata”.



Bagnasco parla in un periodo particolarmente caldo, una fase elettorale che sta diventando senza esclusione di colpi, dove per fare notizia e guadagnare i titoli di giornale non si esita ad alzare i toni. Dove i politici cattolici “autorevoli” indicano spesso strategie ecclesiastiche diverse, ma dove il mondo dei cattolici semplici, la stragrande maggioranza del popolo cristiano in Italia, si sente disorientato. E allora, non stupisce se la guida dei vescovi si sente in dovere di fare chiarezza. E se con chiarezza, parla. E lo farà ancora con insistenza nei prossimi giorni: giovedì presenterà un suo libro con il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato del Vaticano, lunedì aprirà con un lungo discorso  i lavori dell’Assemblea plenaria della Cei. 

I media continueranno a dare risalto alle sue parole. “L’offensiva mediatica” di Bagnasco ha un obiettivo: contrastare l’insignificanza dei cattolici. “I cattolici rischiano di consegnarsi all’insignificanza”, accusa, e sembra una critica rivolta non solo al futuro, ma anche al passato prossimo. Perché l’insignificanza, dice, nasce “quando a un’appartenenza dichiarata non segue un’azione centrata sui valori, quando si perseguono logiche più vicine al proprio tornaconto che al perseguimento del bene comune. E se non si dice nulla di significativo, si diventa inevitabilmente irrilevanti”.

Un’irrilevanza che contagia anche il voto cattolico, ma il Presidente della Cei si oppone alle sensazione diffusa che la politica, ai cattolici, non interessi più. “A un cattolico quest’atmosfera di disimpegno non è consentita” ammonisce. “Partecipare con il voto è già un modo concreto per non disertare la scena pubblica”. Solo se non ci si rifugia nel privato, solo se si fugge la demagogia, c’è la possibilità di un cambiamento. 

E parla anche del bipolarismo, il cardinal Bagnasco. E dell’accusa che abbia spaccato i cattolici, sottomettendoli alla disciplina del partito: quelli a destra che si occupano solo di bioetica, quelli a sinistra che si occupano solo di solidarietà e accoglienza.  Bagnasco non nega l’accusa, ma rimette a posto le carte. “Se il bipolarismo avesse spaccato i cattolici vorrebbe dire che non sono stati veramente sé stessi, cioè hanno abdicato alla loro identità”. Abdicare all’identità di cattolici: l’accusa più grave. E il cardinale fa un esempio di come l’appartenenza alla storia cristiana possa andare oltre i luoghi comuni e imperanti. “In concreto, un cattolico che sta a destra dovrà farsi riconoscere proprio quando si tratta di fare pressione per i valori della solidarietà. E se sta a sinistra, verrà allo scoperto proprio quando sono in gioco i temi della bioetica. Così entrambi diventano coscienza critica all’interno del loro mondo di riferimento e il Vangelo, invece di essere diluito, diventa fermento”.

E indica quale sia la priorità dell’impegno a favore del bene comune. L’emergenza più grave, il vero banco di prova della politica, afferma Bagnsco, è il lavoro: se non si troveranno risposte concrete alla disoccupazione − avvisa − si sacrificheranno intere generazioni. E lancia un monito: sulle questioni importanti, basta tattiche politiche. Su questo, dopo le elezioni, “occorrerà lavorare insieme, senza che nessuno alzi barricate”.

Insomma, Bagnasco chiede un impegno serio e responsabile dei cattolici in politica che tenga conto dei tempi cambiati e sia coerente e strategicamente intelligente. 

Eppure il vero problema, e lo sa bene chi si accorge della malattia (del “Caso Serio” direbbe Von Balthasar) che per decenni ha colpito la Chiesa, è quello della fede. Perché è solo da lì che nasce tutto il resto. Altrimenti, anche l’impegno politico è una pura enfiagione, uno sforzo volontaristico che prima o poi si esaurisce, e si trasforma drammaticamente, come abbiamo spesso potuto drammaticamente verificare, nel suo opposto. 

E allora, Bagnasco torna all’essenziale, quello che negli articoli dei giornali che tratteranno del suo intervento verrà inevitabilmente trascurato, ma che ne è la scaturigine. “È la crisi della fede la questione delle questioni” dice realisticamente il Cardinale che Benedetto XVI ha voluto a capo della Chiesa italiana. E il resto delle sue parole vale la pena leggerle senza interruzioni.

“La crisi della fede. La sfida è sotto gli occhi di tutti. Ma non la si vince con semplici strategie pastorali o affinando i linguaggi della comunicazione diffusa. Il punto di partenza è che i credenti vivano di fede nella vita concreta. Quando la nostalgia di Dio rinasce, e con essa la gioia di viverlo e testimoniarlo, l’evangelizzazione diventa possibile. Il relativismo etico è, in realtà, l’effetto della perdita di orientamento che si produce quando Dio sparisce dall’orizzonte e l’uomo finisce per credersi misura di tutte le cose”.

“Imbattersi in persone credibili oltre che credenti è una testimonianza che parla a tutti, ovunque ci si trovi. Non basta dunque esserci. Occorre starci con ‘un punto di vista’ e con una coerenza personale che creano attenzione e rispetto, anche se non è possibile evitare, a volte, contestazioni e perfino persecuzioni. Sottrarsi al conformismo diffuso che porta a mimetizzarsi, e dare invece ragione della propria fede, con le sue implicazioni antropologiche, etiche e sociali, è chiesto oggi in una forma ancor più urgente. Se manca tale testimonianza, nessuna supplenza è possibile”. 

Nemmeno la supplenza, sembra dire Bagnasco, fatta da politici “cristiani”.