Federica era bella, due occhi di stelle, capelli lunghi e biondissimi, e un’espressione imbronciata da bambina. Lo era ancora, bambina, a 16 anni, anche se giocava, con atteggiamenti da maliarda, a fare la grande, a rivendicare un’autonomia subìta troppo presto, per responsabilità non sue. Genitori separati, famiglia divisa, sbandata a scuola… A Federica batteva il cuore per un ragazzo più grande di lei, Marco, già uomo, sai che invidia le amiche di Anguillara Sabazia, il suo paese. Che importa se litigavano sempre, se lui non la capiva, troppo distante, e lei si sentiva a disagio. Che importa, lei voleva solo essere abbracciata e accudita. 

Marco non l’ha fatto. Se quella sera di Halloween, dove bisogna festeggiare e folleggiare per forza, ha sbattuto la portiera della macchina e ha preso il largo, lasciandola in lacrime, da sola, di notte. Cose che capitano, un litigio, una sfuriata, se Federica ha ceduto e l’hanno trovata la mattina dopo,  piccola Ofelia, sulle rive del lago, è colpa del suo cuore malato, saperlo prima.  Marco non centra. Nulla. Però, Federica cammina tanto, troppo per una ragazzina sola nella notte. Cinque chilometri, un’immensità, col freddo e la paura e il groppo in gola. Marco non l’ha cercata, rincorsa. Basta la paura di un’accusa ingiusta, smentita dalle prove scientifiche, dall’autopsia, a spingerlo a fuggire, a cancellare il ricordo di lei? 

Il papà di Federica è abituato alle telecamere. Ci è andato tante volte, per ricostruire, appellarsi. Ci si crede, che la tivù sveli il vero, è li dentro che la realtà costruita ci appare. Non gli importa di farsi usare da quella deprecabile tv del dolore che scava nelle tragedie umane. Va bene anche farsi scavare, mettersi a nudo, tenere vivo e bruciante il dolore. Pur di far rivivere Federica, di raccontarla al mondo, ci torna anche adesso, dopo tre mesi, a lamentare il silenzio di quel ragazzo, cui lui aveva affidato sua figlia. 

Ha torto: basta accuse a Marco, è stata fatalità, non un delitto, è stata miocardite, ci sono le prove. Ha ragione, secondo la ragione e il buon senso: tu, padre, sai che tua figlia bambina – una testolina matta – esce con un ragazzo più grande, se ne prenderà cura. Sbagli a fidarti? Ma hai un’alternativa? Sarebbe uscita lo stesso. L’importante è che non sia sola, troppi spiriti cattivi nella notte delle streghe. E poi la ritrovano, all’alba, e lui la rivede sotto un lenzuolo bianco e l’unico testimone delle sue ultime ore si difende, si contraddice, scappa. 

Non va ai funerali, non si presenta ai familiari, da tre lunghissimi mesi, non si è mai fatto sentire. Che razza di uomo. Bastava un semplice “Non mi do pace, avrei dovuto seguirla”, una stretta forte di mano, una testa china. Semplice, come l’umanità, come la verità.  

È proprio la verità che non torna e tormenta quel povero padre. Quei cinque chilometri arrancati nella notte da una ragazzina, per poi stendersi a farsi lambire dall’acqua del lago. Impossibile esserci arrivata da sola. Il grido di papà Luigi, il papà distrutto di Federica, è per chiedere di non tacere, non dimenticare. Ci sono reati, e colpe. Marco non l’ha uccisa. Ma l’ha cancellata. L’ha abbandonata. Siamo responsabili di ogni lacrima che causiamo a chi diciamo di amare. Forse Marco non amava Federica. Allora poteva lasciarla stare, lasciarla a un coetaneo che forse l’avrebbe soltanto portata a far struscio in paese, a mangiarsi un gelato. E si sarebbe chinato su di lei piangendo, urlando, chiamando gente, quando l’avesse vista cadere.