Caro direttore, manca meno di un mese alle elezioni. Aldilà dei pur stimolanti dibattiti sul rapporto tra fede e impegno politico o sul primato della libertà di coscienza o, ancora, sulla collocazione dei cattolici nei vari schieramenti – tutti temi sacrosanti, è il caso di dire – resta l’interrogativo di fondo, che a questo punto riguarda gli elettori più che i candidati (che ormai la loro scelta l’hanno fatta): chi votare? Un partito vale l’altro? Interrogativi che urgono, dal momento che stiamo entrando nel vivo della campagna elettorale e regna ancora sovrana in tanti ambienti la confusione e l’incertezza. Sono interrogativi non nuovi, che si affacciano puntuali a ogni tornata elettorale. Ma con la differenza che oggi si presentano con maggior forza per la «distanza critica» di alcuni movimenti ecclesiali (come Comunione e Liberazione), che non intendono essere identificati con una parte politica e che, di conseguenza, non offrono indicazioni su come comportarsi nell’urna, poiché non è «la comunità in quanto tale ad impegnarsi ma la singola persona». Così il prossimo voto (le Politiche ma anche le Regionali) diventa una formidabile occasione di maturazione, in cui si gioca tutta la libertà dei credenti. Ma si deve stare attenti al rischio di passare dalla stagione del voto quasi telecomandato, alla stagione del «rompete le righe», del voto indifferenziato. Nelle nostre scelte non si dovrebbe mai perdere la capacità di guardare in faccia la realtà per quello che è, valutando le conseguenze di un voto che dovrebbe avere a cuore non solo il benessere del Paese ma anche la libertà della Chiesa di proporsi come maestra e madre, preoccupata della verità dell’umano.



Niente ordini di scuderia, quindi, ma nemmeno «liberi tutti». La nota di CL sulla situazione politica ci può aiutare in questo senso a seguire un metodo. Infatti parla esplicitamente di attenzione al «magistero ecclesiale» per l’individuazione dei «criteri ideali» a sostegno dell’impegno a favore del bene comune. Ebbene, la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco ai lavori del Consiglio permanente della Cei ci offre più di una indicazione magisteriale. L’articolato discorso pronunciato lunedì 28 gennaio davanti ai vescovi italiani contiene una serie di riflessioni preziose, su cui vale la pena soffermarsi.



I vescovi non intervengono perché a loro «interessa far politica», ma perché preoccupati del bene comune, a partire da un’esperienza «data dalla prossimità con la vita reale della gente». I vescovi invitano a votare e a non disertare le urne: «non bisogna cedere alla delusione, tanto meno alla ritorsione». Non sarebbe saggio e soprattutto «sarebbe dannoso per la democrazia». La Chiesa non dà indicazioni concrete ma offre un quadro di riferimento antropologico, che trae origine dalla dottrina sociale cristiana, che ha una sua originalità «rispetto al collettivismo sedicente progressista e al liberalismo falsamente ugualitario». In altri termini indica i «fondamenti», i «principi basilari, dunque non negoziabili». Non principi confessionali ma «semplicemente di ordine razionale».



Tali principi non possono essere ignorati o posposti ai temi economici, perché «la società deve avere alla base un progetto di bene comune». E non c’è spazio per «reticenze o scorciatoie». Cioè «bisogna dire il volto che si vuole dare allo Stato». Più nel dettaglio, quando si citano i «fondamenti» si parla «della vita, dal suo concepimento alla morte naturale», ma anche della «rinuncia all’eutanasia, comunque si presenti», della «libertà di coscienza e di educazione». E poi ancora: di «famiglia basata sul vincolo del matrimonio tra l’uomo e la donna», di «giustizia uguale per tutti», di pace.

Il «momento elettorale» è quello per eccellenza in cui si deve poter affermare con chiarezza, certificare, dove tali principi non negoziabili «trovano dimora». E «su questi principi i cattolici sanno che non esiste compromesso o mediazione… poiché ne va dell’umano nella sua radice».

C’è chi sostiene che questi valori sono «divisivi» mentre i valori sociali (carità, solidarietà, attenzione ai poveri) sarebbero «unitivi». In realtà i valori sociali, «che la Chiesa conosce e pratica fin dal suo nascere, stanno in piedi se a monte c’è il rispetto della dignità inviolabile della persona». Evidenziare nei programmi, e quindi nella scelta di voto, i «fondamenti» che stanno a cuore alla Chiesa è tema che non può essere «neutralizzato in partenza, acquisendo all’interno delle varie formazioni orientamenti così diversi da annullare potenzialmente le posizioni, o prevedere al massimo il ricorso pur apprezzabile all’obiezione di coscienza».

In estrema sintesi, pare evidente che Bagnasco dica: la Chiesa non impone come votare ma indica quali principi basilari devono orientare il voto dei cattolici; occorre pertanto accertarsi dove essi «trovano dimora» e guardare con sospetto chi tali principi ignora, annacqua o combatte. Certo, come è stato fatto notare, oggi «nessuna forza può corrispondere pienamente al pensiero sociale cristiano», ma tra il non corrispondere «pienamente» e il non corrispondere affatto (e si sa quali sono queste forze, perché l’hanno dichiarato) c’è una bella differenza.

Leggi anche

LETTERA/ Repubblica e le "prove" utili solo per un attacco politico alla ChiesaLETTERA A SANSONETTI/ Ecco perché io, ciellino, ho votato BerlusconiCL & POLITICA/ La lettera: la vera anti-ideologia? I valori non negoziabili