Sono iniziati gli spot che ci ricordano che, entro il 31 gennaio, si dovrà pagare il canone Rai. Quest’anno, l’imposta è aumentata di 1,50 euro, per un totale di 113,50. «La Rai è nell’occhio del ciclone – ci dice Giuseppe Pennisi, docente di Economia internazionale all’Università Europea di Roma, ed ex Dirigente Generale ai Ministeri del Bilancio e del Lavoro, oltre che della Banca Mondiale – non solo per la qualità, scarsa dei programmi e la consistenza, precaria, delle finanze aziendali, ma anche per il canone che pare essere il balzello più detestato dagli italiani. Non c’è ragione perché per la esista “un’imposta di scopo”. Racconto un aneddoto che spiega, in modo corretto, cosa si intende per “imposta di scopo”. Nel Dopoguerra, il Piano Marshall richiedeva che i Governi presentassero dei programmi in ordine di priorità per essere, conseguentemente, finanziati. Il Borgo Mastro di Vienna presentò alla commissione come priorità principale il restauro del Teatro dell’Opera. Gli americani gli risero in faccia e fu cambiata la richiesta: al posto del teatro furono inseriti, come lavori prioritari, il rifacimento dei binari del tram e le fognature. I viennesi si riunirono in Consiglio Comunale e, in tutta risposta, approvarono un’imposta di scopo per ricostruire il loro Teatro dell’Opera, che fu concluso prima dei lavori tranviari e la sistemazione delle fognature. Venne inaugurato con nove spettacoli che mandarono in scena le opere più importanti: il fatto sorprendente è che l’orchestra, il coro e tutti gli addetti lavorarono gratuitamente per l’intera stagione».



Quando è stato varato il canone Rai?

Il canone è, tecnicamente, una “imposta di scopo” varata quando l’Italia era un Impero malconcio tra una guerra e l’altra, e aveva un sistema tributario primitivo basato su Ige e imposta di famiglia. Pure allora gli specialisti di scienza delle finanze non amavano affatto le “imposte di scopo” perché distorsive. Inoltre, sono regressive: non si paga “secondo la propria capacità contributiva”, ma il magnate a reddito da favola paga lo stesso canone delle vecchietta con la pensione al minimo. Un aspetto che la rende, agli occhi di molti, decisamente poco “democratica”.



E’ questo il motivo dell’elevata percentuale di coloro i quali decidono di non pagarla?

Nonostante richiami e ispezioni, il tasso di evasione è il 30%; alcune indagini e le campagne lanciate da alcune testate indicano che, se potessero, il 70% degli italiani lo eviterebbe perché non crede che il servizio offerto sia un “corrispettivo” adeguato: se la Rai facesse una cura dimagrante, e diventasse bella e scattante, ciò cambierebbe. Ma non sembra che l’azienda voglia perdere peso. Ci sono inoltre certamente tecniche più moderne per sovvenzionare la Rai, sempre che si lo ritenga appropriato.



Ad esempio?

Innanzitutto una sovvenzione annua votata dal Parlamento, ma sino a quando l’imposta di scopoesiste, occorre pagarla. E nessuno vede gli italiani correre con gioia ad assolvere questo obbligo. Si deve, quindi, trovare un sistema per contenere l’evasione, dato che far piantonare ogni famiglia da un vigilante Rai costerebbe più di quanto si porterebbe nelle casse della malmessa azienda. E’ stata formulata la proposta di agganciare il canone alla bolletta elettrica nell’ipotesi cartesiana “elettricità, ergo Tv, ergo Rai”; se hai l’allacciamento elettrico, ti godi, per così dire, anche la Rai in Tv.

Un metodo che funzionerebbe sul serio?

A mio avviso, ciò sarebbe macchinoso: ci vorrebbe, oltre a una legge, una rete di accordi con circa centocinquanta aziende elettriche. Inoltre, se non si ha un “canone” per fasce di reddito, ciò aggraverebbe la regressività: la pensionata al minimo che pagherebbe una tariffa elettrica “sociale”, ma lo stesso canone rateizzato di Paperon de’ Paperoni. Potrebbe avere effetti negativi sull’economia, aggravando i costi d’impresa e contenendo i consumi.

 

Dunque?

 

Ammesso che le “imposte di scopo”, anche se arcaiche, non devono essere evase, sarebbe più semplice aggiungere una dichiarazione nei formulari dell’imposta sul reddito. Chi dichiara che ha un televisore, paga un’addizionale Rai correlata al proprio reddito. Chi per evadere dichiara il falso, commette un reato di falso in atto pubblico. Perché per raggiungere obiettivi semplici, scegliamo sempre percorsi complicati? Victor Ricciardi, maestro della “behavioral economics”, afferma che occorre chiamare un “neuro-fiscalista”.