Caro direttore,
è bella questa foto. Un colpo di fortuna, dicono i più, l’attimo fuggente colto in un click dall’obiettivo padre, quasi un salvataggio dal ventre della madre. È bello il bianco&nero, perché non si nota il sangue, la ferita aperta è edulcorata, un po’ sbiadita in un non-colore. Non è così importante poi sapere il nome della bimba (Nevaeh, statunitense) ma colpisce che sia stato proprio il papà a farla, presente all’intervento, a quanto pare su invito dello stesso medico. Ci dicono sia stata la mamma invece, a volerla pubblicare, a farla circolare come un seme felice.
Il web ne è stato subito invaso, anch’io sono stata invitata a mettere “mi piace”, la Repubblica la ha messa in primo piano; piace.
E, sì, come si potrebbe affermare il contrario?
“Guarda che bella, che emozione”, mi hanno scritto; oddio, sì, bella, ma è “a termine” oppure prematuro, sai…, chissà perché il cesareo… speriamo niente di grave…, mi è scattata la molla del lavoro, l’emergenza, la professione chiede spiegazione…
Forse ci sono “abituata”: quante volte in Sala Operatoria un bimbo passatomi svelto dal chirurgo, mi ha afferrato con la sua manina, mi ha gridato, mi ha fatto un getto di pipì in faccia… quante volte un bambino appena uscito dalla pancia della mamma, magari per un parto naturale, mi ha sorriso stringendomi il dito? Forse ci ho fatto il callo…
Eppure a ben guardarla anche a me si muove qualcosa nelle viscere, la tenerezza che si annoda al sentimento, il ricordo, reale, che emerge nella mente.
E intanto anch’io sono presa dalla sua magia e chiamo mio marito, mio figlio, guarda, vedi, sapessi, è così che accade, è vero, è reale…
Un reale che invade la rete invisibile informatica, dilaga senza freni, ci allaga umanamente, silenziosamente.
Non si sente alcun suono in quella foto: quel braccino che spunta, avvolto dal sangue e dalla plastica, la manina che, lo so, è un riflesso puramente neonatale, afferra… sembra che ci afferri direttamente il cuore.
Senza parlare, chiede.
Perchè è un bambino. Indiscutibilmente l’essere più fragile della forma umana, un bambino che vuole vivere, lo capisci che ancora non respira, il cordone ombelicale ancora radicato saldamente, ancora senza volto, senza sesso e senza, stranamente, età. Starà per vivere?
Vivrà, speriamo, pieno della sua fragilità, come ce la sentiamo nelle ossa quella debolezza.
Guardate, è un bambino.
Dentro nella pancia sta un bambino.
Ci siamo stati tutti!
Anche quelli concepiti in vitro, poi sono stati rimessi, adagiati nell’utero di una donna: magari affittato, ma materno.
Io sono stata lì. Tu sei stato lì. Dio è stato lì.
Questa fotografia mi ha portato nel secondo Mistero della Gioia; quando San Giovanni Battista ha esultato per l’incontro con il Figlio dell’Uomo sulla terra.
E Santa Elisabetta lo ha capito subito e lo ha detto a voce alta, e io tremo, di gioia appunto, nel pensare a questi due bambini che si tendono le braccia l’uno all’altro, li vedo.
Il braccino di Giovanni, feto di sei mesi, che si leva, come nella foto, verso il suo Salvatore, il sobbalzo di Elisabetta, il guizzo di Gesù che fa una capriola di felicità e mozza il fiato alla Madonna.
Le due madri che capiscono tutto.
Si abbracciano, le donne dal di fuori, i bambini dal di dentro.
Ecco, caro direttore, guardando la fotografia in questione, dopo l’emozione mi viene il desiderio, non il piacere.
Se potessi fare “click” non sceglierei “mi piace”, ma “vorrei”.
Vorrei che fosse chiaro a tutti che nella pancia della mamma c’è un bambino.
Da salvare. Sempre.