Certo, il Vaticano è lo stato più piccolo del mondo – solo quel tanto di corpo che serve a tenere insieme l’anima, come diceva papa Pio XI – ma è pur sempre uno stato. E, per la sua influenza sullo scenario mondiale, ha un nutritissimo corpo diplomatico accreditato. E così, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico ci sono gli ambasciatori di tutto il pianeta che ascoltano Benedetto XVI. Scena d’altri tempi: il salone sontuosamente affrescato, gli ambasciatori con insegne, medaglie e onorificenze, uomini e donne con oggetti d’abbigliamento che ricordano i paesi d’origine, i cardinali vestiti di porpora. Potrebbe essere un consueto scambio d’auguri di inizio d’anno, pieno di formalità. Invece, Papa Ratzinger lo trasforma in un momento per parlare al mondo, e comunicare le sue preoccupazioni e le cose che gli stanno più a cuore. Toccando temi di calda attualità, dalle guerre alle persecuzioni religiose all’attuale crisi economica.
E si rivolge all’Europa, e ai suoi uomini di potere, questo anziano teologo diventato Papa. Con giudizi chiari, netti, e controcorrente.
Parla della tentazione di alcuni paesi – e il pensiero va subito alla Germania e alla Francia – che potrebbero andare avanti da soli, staccandosi dal cammino comune, economico e finanziario. Ratzinger dà voce a un’idea che risuona spesso – espressa più o meno esplicitamente – nei circoli politici e finanziari più potenti e influenti d’Europa, una tentazione a cui in Italia fa localmente eco, proprio nelle ore in cui parla il Papa, la Lega, con la proposta elettorale di Maroni di trattenere il 75 per cento delle tasse dei cittadini della Lombardia nella loro regione. Proposte che parlano alla pancia di cittadini italiani ed europei stremati dalla crisi. Ma il Papa si oppone esplicitamente a questo cammino solipsista.
“In Europa se alcuni paesi andassero avanti da soli, forse andrebbero più veloci” dice realisticamente. Ma aggiunge “Andrebbero più veloci, ma se si rimarrà tutti insieme si andrà certamente più lontano”. “Occorre resistere alle tentazioni degli interessi particolari per cercare il bene comune”.
Poi, Benedetto XVI parla anche di spread, ma in un modo particolare. Un modo più ampio di quello a cui siamo abituati. E contrappone proccupazione ad angoscia, ribaltando la scala di valori su cui si orientano i media. “Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri”. Sgomento, cioè un senso di angoscia che non lascia tregua.
Insomma, c’è la crisi economica, ma non per tutti. La crisi, fa capire il Papa, a qualcuno sta riempiendo il portafoglio mentre altri, e sono la stragrande maggioranza, vengono ridotti alla fame. E spesso, come accade nei paesi più poveri, ma anche attorno a noi in Italia, la crisi uccide.
Bisognerebbe provare angoscia per questo, non semplice preoccupazione per i differenziali dello spread. E che il Pontefice della Chiesa cattolica accusi, di fronte ai rappresentanti dei potenti del pianeta, che in tanti stanno sfruttando la crisi per arricchirsi, indifferenti al dolore dei più economicamente inermi, uomini o nazioni, è cosa non banale.
E se invece di fossilizzarsi in una continua, ripetuta quanto sterile accusa alla Chiesa per la sua difesa di temi di dottrina morale, tacciandola come retrograda, chi ha a cuore il destino dell’uomo e si dice progressista sapesse cogliere la voce di un Papa che incessantemente si schiera pubblicamente dalla parte dei più deboli, accusando esplicitamente poteri finanziari e politici, nascerebbero alleanze inedite che potrebbero influire profondamente negli assetti sociali.
“L’odierna crisi economica e finanziaria − dice Ratzinger − si è sviluppata perché troppo spesso è stato assolutizzato il profitto a scapito del lavoro, e ci si è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale”. E come si rimedia? “Occorre recuperare il senso del lavoro e di un profitto ad esso proporzionato”.
E Benedetto XVI chiede anche dei leder per l’Europa che superino vecchie concezioni, perché “la Ue ha bisogno di leader lungimiranti e qualificati”.
E il Papa parla a lungo anche delle guerre e dei conflitti in corso nel pianeta. Alla Siria rivolge parole incisive. “Basta Armi − dice −. Inizi il dialogo o resteranno solo rovine, ci saranno solo sconfitti”. E parla della Terra di Gesù, la Terra Santa. Con una posizione decisa, citando il contestato ingresso dei palestinesi tra gli osservatori permanenti dell’Onu: occorre riconoscere due stati sovrani, Palestina e Israele, altrimenti non si arriverà mai a una pacifica convivenza.
E la ambigua, e per molti versi preoccupante, evoluzione della Primavera Araba in Egitto fa chiedere al Papa un impegno: garantire la libertà religiosa. Non cita l’episodio, ma le sue semplici e quasi scontate parole di vicinanze ai cristiani copti uccisi in un attentato in una chiesa del Cairo avevano suscitato le ire di autorevoli esponenti musulmani dell’Egitto, con richiesta di scuse per ingerenza in affari religiosi interni. La libertà religiosa, spiegava Giovanni Paolo II, è la cartina di tornasole di tutte le libertà di un paese.
Ma è alla Nigeria che quello che per i cattolici è il Vicario di Cristo in terra dedica a le parole più accorate. “L’odio sta cercando di trasformare luoghi di preghiera in luoghi di paura” accusa. “A intervalli regolari la Nigeria è teatro di attentati terroristici che mietono vittime, soprattutto tra i fedeli cristiani riuniti in preghiera: ho provato una grande tristezza nell’apprendere che, perfino nel giorno in cui noi celebriamo il Natale, dei cristiani sono stati uccisi barbaramente”.
La tristezza di un Papa, che è la tristezza di ogni cristiano. Ed è impressionante constatare che, nonostante quasi ogni domenica ci siano bombe e attentati nelle Chiese, con morti e feriti, i cristiani nigeriani continuino, con paura ma confidando in qualcosa che vale più della paura, ad andare a Messa nelle loro chiese, spesso percorrendo moltissimi chilometri. Sapendo di poter morire, ogni domenica. Nigeria, terra di martiri, proprio come accadeva nei primi anni del cristianesimo, quando erano ancora vive le persone che avevano incontrato personalmente Gesù. Anche oggi, c’è chi lo conosce.