Caro direttore,
le scrivo a proposito del recente articolo uscito mercoledì 9 ottobre riguardante la circolare, diffusa dall’arcivescovo di Friburgo mons. Robert Zollitsch, che invita a riammettere ai sacramenti i divorziati risposati (“anche loro appartengono alla Chiesa”).

Vivo da più di venti anni in Germania e come insegnante di religione mi sono occupato spesso di questa problematica.



Capisco la sofferenza di cui parla il divorziato, e vedo nella sua lettera, da voi pubblicata, anche un tentativo forte di differenziazione del problema. E ovviamente sono consapevole che non stiamo parlando di un tema su cui si possa fare chiacchiera. Sant’Ignazio raccomanda nel punto 41 degli Esercizi di non dire cose infamanti o che fomentino le chiacchiere – tema caro anche a papa Francesco; dice anche che si può parlare di peccati o mancanze solamente se “aiutano a risollevare” chi si trova in una certa situazione.



Devo dire però, con risolutezza, che accostare il tema della misericordia di papa Francesco a questo documento della diocesi di Friburgo (come secondo me accade nel primo punto della lettera; non tanto nel senso che l’autore ne abbia l’intento, ma per il semplice fatto oggettivo dell’accostamento), vuol dire screditare il papa e adottare (consapevolmente o meno) una posizione scismatica.

Il prof. Hubert Gindert, responsabile del “Forums Deutscher Katholiken” ha espresso questo pericolo in un articolo in kath.net dell’8 ottobre 2013: vuole Friburgo uno scisma? In esso il professore sostiene che il documento di Friburgo sui divorziati risposati non è solo contro la dottrina della Chiesa cattolica sull’indissolubilità del matrimonio e contro il diritto canonico, ma anche “gegen das Gesetz Gottes, wie Christus es gelehrt hat” (“contro la legge di Dio insegnata da Cristo”; Catechismo, 1665).



Il documento di Friburgo contraddice tutto ciò che la Chiesa ha scritto su questo tema: cfr. in primo luogo l’allora cardinal Ratzinger ne Zu einigen Einwänden gegen die kirchliche Lehre über den Kommunionempfang von wiederverheirateten Geschiedenen Gläubigen – “Alcune obiezioni contro la dottrina cattolica sulla ricezione dell’eucarestia da parte dei divorziati rispostati” (edizione italiana nella homepage del Vaticano). In questo documento il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede sosteneva che, anche se in passato si fosse peccato di mancanza di amore nell’annuncio della verità, oggi (il documento è uscito il 1° gennaio 1998) è necessario ricordare che non vi è misericordia senza verità. Ciò permette a papa Francesco di pensare ed annunciare che nel nostro oggi è necessario sottolineare di più la misericordia ed invitare ad uscire dalle mura della Chiesa: “Una Chiesa che non esce fuori da se stessa – dice Francesco – presto o tardi si ammala nell’atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa”. 

E se è vero che, come capita a chiunque, uscendo fuori di casa si può incorrere in un incidente, “preferisco mille volte di più una Chiesa incidentata che ammalata”. La malattia tipica della Chiesa – continua – è l’autoreferenzialità, è rimanere ripiegati su sé stessi. Il Papa parla di “narcisismo che conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato” e non consente sperimentare la “dolce e confortante allegria dell’evangelizzare”. 

Con ciò però papa Francesco non vuole né può rinnegare ciò che nel documento Joseph Ratzinger è espresso con il rinvio al numero 84 della Familiaris consortio, che non è certo espressione di “mondanità spirituale” o di “clericalismo sofisticato”, e in cui Giovanni Paolo II affermava che il sacramento della confessione può essere permesso solamente alle persone che avessero ferma volontà ad “una disponibilità autentica di condurre una vita che non sia più in contrasto con l’indissolubilità del matrimonio”.

Né nel Vangelo né nella dottrina della Chiesa si troverà mai una parola in cui misericordia e verità si possono contraddire – e su questo punto la lettera del divorziato è molto chiara: la misericordia è un cammino nella verità e non bastano nuove leggi per risolvere le ferite causate dalla fine di un amore, che si è voluto indissolubile. Nella lettera del divorziato sono già espressi alcuni problemi concreti e legittimi che il documento di Friburgo potrebbe sollevare, per esempio nella persona che è stata lasciata e che non si è risposata. Il documento di Friburgo però non si trova “sul filo del rasoio di ciò che la chiesa insegna” (lettera del divorziato, pagina 1); non è neppure un tentativo di tenere conto della nuova situazione odierna, in cui tanti matrimoni celebrati non corrispondono per nulla alla dottrina della Chiesa e per questo sono nulli (è certamente necessario spiegare ai cristiani più precisamente la possibilità canonica della dichiarazione di nullità del matrimonio), ma la contraddice espressamente.

Quel documento infatti si muove nello spirito del famoso memorandum del 2013 in cui molti sacerdoti della stessa diocesi si sono messi in conflitto aperto, su questo tema, con la dottrina cattolica e con papa Benedetto XVI. Ciò che è in gioco è il senso dell’indissolubilità del matrimonio (o per lo meno la sua possibilità di comunicarlo in modo credibile), come dice lo stesso divorziato nella sua lettera.

La decisione di monsignor Zollitsch non è solo colpevole di aver “trascurato qualcosa della profonda esperienza di umanità propria della Chiesa” (pagina 2), ma la contraddice apertamente e riduce la misericordia del papa ad un trofeo politico da giocare nei salotti borghesi tedeschi e in quegli ambiti ecclesiali tedeschi che da decenni, con un forte movimento protestantizzante (non: evangelico!), mettono tutto in discussione, anche la corporalità della risurrezione (come ho potuto sperimentare nei corsi di formazione religiosa per gli insegnanti nella diocesi di Monaco e Frisinga, negli anni del cardinal Wetter o più precisamente per quanto riguarda la mia persona dal 1993 al 2001). Questi ambienti non hanno il minimo interesse ad un fedeltà ed obbedienza a Roma.

Ancora un appunto finale: accogliere nella comunità ecclesiale o far partecipare alla comunione non sono la stessa cosa. Come ha scritto bene il divorziato nella sua lettera il “distacco”, vivibile nella comunità ecclesiale, che implica il rifiuto di una completa riammissione ai sacramenti, è il vero dolore salvifico, come conseguenza del peccato o della mancanza commessi, ma anche come “contemporaneità” al dolore di Cristo. E solo la contemporaneità a Cristo dona salvezza agli uomini, anche oggi.