Caro direttore,
c’è un particolare, che, forse, può aiutare a comprendere le ragioni del fascino suscitato da Papa Francesco nelle tante persone, che per fede o per semplice curiosità ne seguono gesti e parole oramai da un semestre. Il particolare è stato prontamente colto da Eugenio Scalfari in occasione dell’intervista pubblicata su Repubblica. Racconta il giornalista che, durante la conversazione svoltasi nella residenza di Santa Marta, il Pontefice gli ha chiesto cosa potergli offrire; a risposta, ha domandato anche per sé la medesima consumazione, che, però, poi ha trascurato. Annota il giornalista: “[il Papa] Si alza, apre la porta e prega un collaboratore che è all’ingresso di portare due bicchieri d’acqua. Mi chiede se vorrei un caffè, rispondo di no. Arriva l’acqua. Alla fine della nostra conversazione il mio bicchiere sarà vuoto, ma il suo è rimasto pieno”.
Si tratta di un dettaglio impercettibile, di una delicatezza da nulla. Eppure, il gesto manifesta una benevolenza, che bene esprime quell’attenzione verso ogni singola persona continuamente rilevata dalle riprese televisive. In occasione di un’altra intervista, per spiegare le ragioni del suo modo di porsi innanzi alla folla, il Papa ha affermato: “Io riesco a guardare le singole persone, una alla volta, a entrare in contatto in maniera personale con chi ho davanti. Non sono abituato alle masse”. Sicché il giornalista ha osservato: “quando lui è in mezzo alla gente, i suoi occhi in realtà si posano sui singoli. Poi le telecamere proiettano le immagini e tutti possono vederle, ma così lui può sentirsi libero di restare in contatto diretto, almeno oculare, con chi ha davanti a sé”.
Una simile delicatezza non è insolita nella vita della Chiesa; anzi, essa costituisce la ragione originaria per la quale chi ne ha fatto esperienza non è più riuscito a discostarsi da una tale fonte di umanità. Gli esempi da annoverare sarebbero innumerevoli.
Raccontano le cronache dell’epoca che San Francesco si sottoponeva spesso a digiuni estenuanti e ineguagliabili, al punto che i suoi amici frati si mortificavano per non riuscire a imitarlo; accadeva così che, per confortare i più deboli, talora egli interrompesse il digiuno, fermandosi a mangiare con loro.
Del pari, cronache più recenti raccontano gli episodi di un piccolo e umile frate cappuccino di origine bosniaca del primo novecento, Leopoldo Mandic, ora proclamato santo; a Padova trascorreva 12-15 ore al giorno nel confessionale, tale era il numero di persone di ogni classe sociale che desiderava confessarsi da lui. Un giorno si recò da lui un importante signore, che da molti anni non si accostava ai sacramenti.
E tanto era impacciato e confuso che, entrato nel confessionale, invece di mettersi in ginocchio andò a sedersi sulla sedia del prete; padre Leopoldo non disse niente, si mise lui in ginocchio al posto del penitente e ascoltò così la sua confessione. Ed era, la sua, una delicatezza attenta a non umiliare inutilmente, comprensiva della fragilità umana.
Ancora, cronache contemporanee ricordano l’attenzione che don Giussani insegnava ai suoi giovani amici, raccomandando loro di rispettare il lavoro altrui. Una volta, in occasione di una sosta in un rifugio in montagna durante una gita, rimproverò uno di loro che aveva messo in difficoltà il barista ordinando un prodotto irreperibile: “Prima di ordinare una cosa dovete guardare la lista di quello che c’è a disposizione, perché non potete mettere in imbarazzo il barista”. Mostrava questo tipo di sensibilità, costantemente.
Infine, una pari delicatezza fu sperimentata da una povera ragazza senza alcuna istruzione della Francia dell’800. Nel corso di una delle prime visite nella grotta di Lourdes, Bernadette si sentì chiedere da quella visione: “Volete avere la benevolenza di venire qui per i prossimi quindici giorni?”. Nessuno l’aveva mai trattata con una tale attenzione e la giovane si sentì confusa per la deferenza ricevuta. Fosse stato solo per quella, sarebbe tornata nella grotta all’infinito.
Per non dire dell’umile constatazione che ripeteva Michelangelo Buonarroti: “Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni/ coll’usata ineffabil cortesia?”.
Gli esempi potrebbero continuare senza sosta. Eppure, in questi come in tanti casi analoghi, a suscitare stupore e commozione non è solo la delicatezza percepita, bensì ciò che la stessa lascia trasparire: una stima per il desiderio di ciascuno, un rispetto verso l’altrui libertà, colti e valorizzati nell’insondabile mistero del singolo (“Qui entriamo nel mistero dell’uomo”). Sicché se ogni tipo di potere, pubblico o privato, cerca sempre di governare il desiderio dell’uomo, temendo di non riuscire a controllarne le potenzialità e le implicazioni, nella dinamica rappresentata non è così. Durante un’intervista all’allora cardinale Ratzinger, fu chiesto: “Quante vie ci sono per arrivare sino a Dio?”. Annotò il giornalista: “non sapevo davvero che cosa mi avrebbe risposto: «una sola», «parecchie»”. Al Cardinale non fu necessario molto tempo per rispondere; disse: “Tante, quanti sono gli uomini”.
È una tale delicatezza che Papa Francesco ha lasciato trasparire come fondativa dell’intero Pontificato. Sicché, se Benedetto XVI aveva incentrato il proprio magistero sul fatto che Dio è carità (Deus caritas est), Francesco ora ne declina gli aspetti: misericordia, tenerezza, mitezza, pazienza.
Ecco perché invita a non attardarsi “nell’ingerenza spirituale” nella vita delle persone; ecco perché chiede alla Chiesa di portarsi verso le periferie esistenziali, di trasformarsi in una specie di “ospedale da campo dopo una battaglia” per curare le ferite di ciascuno. Con accenti poetici chiarisce: “Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella notte degli uomini. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada”.
Del resto, non vale incontrare il cuore ferito e confuso dell’uomo, se non per comunicargli una dolcezza imprevista e imprevedibile, che è attraente riconoscere e alla cui origine è semplice aderire.