Partecipare alla fucilazione delle Fosse Ardeatine “fu terribile, ma dire di no era impossibile”. A una settimana dalla morte, è stato reso noto il video-testamento di Erich Priebke, l’ex gerarca nazista sulla cui sepoltura sono ancora in corso accese polemiche. Intervistato dal suo legale nella propria abitazione romana, Priebke parla dell’attentato di via Rasella che sarebbe stato compiuto apposta dai Gap comunisti per provocare la rappresaglia tedesca, ovvero l’eccidio per cui l’ex capitano delle Ss è stato condannato all’ergastolo: “Questo è risaputo – afferma – e loro lo hanno fatto a proposito perché pensavano che una nostra rappresaglia poteva creare una rivoluzione della popolazione”. Nessuno, continua a raccontare Priebke, poteva ovviamente rifiutarsi di prendere parte alla strage. Schultz, l’organizzatore della rappresaglia, disse a tutti che si trattava di un esplicito ordine di Hitler: “Chi non vuole farlo è meglio che si metta con le altre vittime perché sarà anche lui fucilato”, avrebbe detto il nazista ai suoi sottoposti. A Salvatore Sechi, storico e professore ordinario di Storia contemporanea all’università di Ferrara, abbiamo chiesto un commento sull’intera vicenda legata alla morte di Erich Priebke e sull’eventuale introduzione del reato di negazionismo, al quale si dice nettamente contrario.

Cosa pensa delle proteste che abbiamo visto nelle ultime ore, soprattutto ad Albano Laziale?

La guerra di liberazione italiana può essere considerata una guerra civile a tutti gli effetti, della quale sembra essere rimasta la preoccupazione e la volontà di blindare il perimetro dell’antifascismo e quindi di creare un obiettivo permanente di riferimento. La figura di Priebke è tutto sommato di facile interpretazione ed è evidente che i suoi comportamenti fanno parte non della cultura italiana ma di quella tedesca.

Sotto quali punti di vista?

Soprattutto nel rispetto degli ordini. Se nella cultura italiana è possibile scegliere se assecondare o meno una richiesta, in Germania non lo era affatto. Dicendo questo non voglio certo giustificare i delitti di Priebke, però dovremmo chiederci come mai, a distanza di tempo, il nostro antifascismo abbia bisogno di incarnare in un personaggio di cento anni di età il nemico assoluto. Questo è un segno del fatto che la guerra antifascista e la guerra civile per certi versi continuano e si congiungono.

Quindi crede a Priebke quando afferma che rifiutarsi non era possibile?

Ripeto, non cerco di giustificare ciò che l’ex gerarca ha fatto, però dobbiamo renderci conto che la cultura italiana ci permette di valutare ogni conseguenza che un determinato ordine può comportare, misurarla rispetto a valori consolidati ed eventualmente opporci. Nella cultura tedesca tutto questo non c’era e disobbedire era un atto quasi “innaturale”, proprio perché il rapporto gerarchico si fondava sul rispetto degli ordini.

Dopo le proteste ad Albano, la salma di Priebke è stata portata via anche dall’aeroporto di Pratica di Mare verso una destinazione sconosciuta. Come crede debba risolversi questa vicenda?

Credo sia arrivato il momento di definire chiaramente i ruoli di vinti e vincitori, e cosa i primi ritengono di dover fare dei secondi. Credo che la morte richieda nient’altro che “pietas” e che i vincitori debbano riconoscere una sorta di rispetto nei confronti del corpo e delle ossa del vinto. Se questo non avviene, allora significa che anche il vincitore è in qualche modo pericoloso.

E’ d’accordo che l’eccidio delle Fosse Ardeatine fu una rappresaglia all’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, quando a Roma i partigiani attaccarono un reparto delle truppe tedesche provocando la morte di quaranta nazisti?

Sì, è stato ormai appurato che la fucilazione in cui persero la vita 335 persone fu una rappresaglia, che a sua volta è un atto di guerra ma, in questo caso, non disciplinato dalle consuete norme di un conflitto. Come dicevo, infatti, è un episodio che si inserisce nel quadro di una vera e propria guerra civile non dettata da regole precise, ma in cui ognuno si muove “irregolarmente”, anche i Partigiani, e l’attentato di via Raselle ne è un esempio.

 

Crede anche che fu il Gap comunisti a compiere apposta l’attentato per scatenare la rappresaglia tedesca e quindi un’eventuale rivoluzione popolare?

Questo dettaglio è in realtà più difficile da appurare, perché non esiste una precisa documentazione che possa effettivamente confermarlo. In un Paese occupato militarmente possiamo aspettarci anche calcoli di questo tipo, ma senza elementi documentali chiari non si può avere la certezza. Come dicevo poco fa, la guerra civile è la cosa peggiore che si può immaginare, una guerra che sconvolge ogni regola e che può facilmente trascinare dietro di sé episodi di questo tipo.

 

Cosa pensa della volontà di introdurre il reato di negazionismo?

Sono assolutamente contrario al fatto che i problemi riguardanti la storiografia e la ricerca vengano trasformati in regole giuridiche. Il negazionismo si combatte sul terreno del dibattito storico.

 

Si spieghi meglio.

Le faccio un esempio: uno storico che nega l’Olocausto o l’esistenza delle camere a gas dovrebbe essere libero di documentare il suo pensiero e di esporlo, mentre gli storici che la pensano diversamente hanno il diritto e il dovere di controbattere con altrettante documentazioni. Istituendo il reato di negazionismo non si fa altro che bloccare la libertà di ricerca storica, quindi mi auguro vivamente che tale ipotesi non prenda corpo.

 

(Claudio Perlini)