L’ex roccaforte leghista Treviso ha cambiato bandiera da un anno e l’attuale giunta di centrosinistra sta cercando di guidare il comune verso un primo riconoscimento dello ius soli. Il sindaco Giovanni Manoldi e i suoi collaboratori hanno agito da promotori per l’iniziativa che prevede di consegnare entro Natale la cittadinanza onoraria a circa mille bambini nati in Italia da genitori stranieri, iscritti alla prima elementare. “Una rottura col passato”, ha commentato il primo cittadino di Treviso, in una città che fino alle penultime elezioni ha visto trionfare il partito padano con un ampio margine di preferenze. La concessione della cittadinanza ad honorem è un’iniziativa già avviata in altri comuni d’Italia (Torino, Sesto San Giovanni, Follonica, Viareggio) e sembra rispondere più all’emergenza dell’immigrazione clandestina che a un reale bisogno strutturale del paese. Per capire meglio il significato di “cittadinanza onoraria” e le conseguenze che potrebbero scaturire da questa concessione, abbiamo intervistato l’avvocato Claudio Santarelli di Milano.
In cosa consiste di preciso la concessione della cittadinanza onoraria?
È una facoltà che può essere votata dal consiglio comunale, per meriti speciali a una persona, ai sensi della legge 267/2000 sugli enti locali. In questo caso fa specie che la concessione sia fatta non a personalità di un certo spicco, ma a dei bambini semplicemente per il fatto che non sono italiani.
Secondo lei qual è il valore di quest’iniziativa?
Probabilmente la giunta di Treviso ha preso questo decisione per mettere in evidenza la contrapposizione alla precedente amministrazione leghista. Non forza la mano dal punto di vista legislativo, è un’azione dimostrativa.
Cosa cambia dal punto di vista del diritto tra una “cittadinanza” e una “cittadinanza onoraria”?
La seconda è una sorta di cittadinanza per meriti acquisiti o per culturali, ma non determina gli stessi diritti di un cittadino di origini italiane, per semplificare le cose.
Non è in contrasto con la legge nazionale?
Non è sinonimo di “cittadino italiano”, è una via di mezzo che comunque riserva un trattamento di favore da parte del comune che l’ha concessa, ha un valore in più nell’iter che può portare in futuro a un riconoscimento pieno.
Che ripercussioni potrà avere all’interno dello Stato e nelle città in cui è stata concessa?
In Italia il diritto di cittadinanza deriva dal principio dello ius sanguinis, ossia bisogna essere figli di italiani per essere cittadini. Ampliare la cittadinanza allo ius soli stabilisce una forzatura, rispondendo a un principio perseguito dal ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge.
Cosa intende dire?
Il fine di queste proclamazioni sembra rispondere a quello che è successo a Lampedusa. Il grosso del dibattito riguarda la presenza o meno degli immigrati clandestini in Italia, ma la loro presenza pone sicuramente dei problemi dal punto di vista dell’organizzazione dello Stato.
Qual è il suo personale punto di vista a riguardo?
L’istituzione dello ius soli potrebbe concretizzarsi solamente tenendo in conto due effetti: il primo la stabilità della persona che fa richiesta, dal punto di vista economico; poi è necessario che il nuovo cittadino italiano paghi le tasse.
E non dimentichiamoci di considerare il problema delle frontiere.
Certamente, è necessario che l’Italia sia garantita rispetto alle proprie frontiere e questa è una condizione che attualmente non è soddisfatta. In America, ad esempio, c’è un rapporto diverso rispetto alle frontiere poiché per entrare c’è bisogno di un visto. Parlarne adesso forse è prematuro e bisogna studiare un percorso che sia in grado di rivisitare in modo efficiente la Bossi-Fini, non si può pensare di cambiare la legge senza un progetto alternativo valido.
(Mattia Baglioni)