Negli Anni Ottanta, mentre c’era chi passeggiava in via Veneto a Roma, da noi a Milano si andava da Moscatelli, in zona Moscova, o meglio in via Garibaldi. Si andava lì perché il titolare, che aveva in esposizione un numero sterminato di liquori con l’etichetta Moscatelli, era un fenomeno. Quando gli ordinavi una bottiglia di Malvasia (lui aveva la Malvasia di Casorzo, quella rossa e frizzante che fanno nel Monferrato) prendeva di mira un angolo sul soffitto del locale, lo centrava col tappo che sempre cadeva perfettamente nel cestino a terra. E lì partiva l’applauso. Poi Moscatelli aveva un juke box degli Anni Trenta, ancora funzionante (diceva lui) ma che restava sempre spento. Serviva la Malvasia nelle coppe, come non fa più nessuno e in tavola metteva i cantucci.
Era un locale originale, spartano, come la mitica Enoteca Provera di corso Magenta, che poi fu rimpiazzata da un negozio di Fauchon (che tristezza non vedere più il Ratafià d’Andorno Micca in vetrina o sentire quell’odore vinoso della sua Barbera di San Salvatore Monferrato). Moscatelli invece, ci sono stato pochi giorni fa, è diventato un locale multitasting: è caffetteria, gastronomia con possibilità di mangiare ai tavolini (affollatissimi), panetteria, insomma quello che segna una città in continua trasformazione. Lo hanno ripensato quelli di Cierresse, dei geni che inventano locali. E tutti i locali trovano un lancio proprio a Milano.
Giorni fa sono stato a Host, che è la fiera dedicata al settore del food e beverage e ho scoperto, nello stand di Costa Group, la Polenteria, accanto alla Latteria e a un’innovativa Gelateria. Ma ho visto anche un tavolo apparecchiato dove, con un tocco della mano, al posto del piatto ti appare la fotografia dei piatti del menu; con un altro tocco sulla foto ordini direttamente in cucina e dopo poco ti arriva. E in questo modo Moscatelli è stato archiviato per sempre. Comodo, per carità, ma quel rapporto umano, per cui da studenti andavamo a passare le serate in quel locale spoglio per raccontarci la vita (Luca Doninelli, si ricorderà invece la Battagliera al quartiere Feltre), che fine farà? Un locale oggi si sceglie per il design, la bella postazione dove sederti con gli amici o con la fidanzata, sapendo che la sera la passerai comunque al telefonino, twittando o messaggiando. Ma che tristezza vera quelle sere tutte uguali! Se ne accorgeranno questi giovani di oggi che un telefonino gli sta rubando gli attimi migliori? E quando se ne accorgeranno? Il giorno in cui una ragazza, guardando il suo lui negli occhi lo farà spaventare?
Ok, adesso faccio una scommessa con qualcuno: fra non molto inventeranno i locali dove si mangerà in silenzio (ma forse ci sono già): senza telefonini, quasi come delle case di rieducazione. Da un eccesso all’altro, lasciando sempre però fuori il rapporto umano, già triturato abbastanza da facebook, twitter e compagnia varia. E’ il futuro, non possiamo farci nulla, viene anche da pensare. E’ come la tivù che non volevi far vedere troppo ai tuoi bambini… Battaglia persa ? Mah, poi hanno smesso di guardarla, senza che qualcuno glielo imponesse. E ora leggono.
A proposito di futuro, l’altro giorno ne ho letta un’altra: a Milano (sempre a Milan, dove diventa più difficile accorgersi del coer en man) sarà lanciato un sito, dalla mente di due giovani astigiani (si chiama Tacati’) che favorisce l’ e-commerce locale. La bottega per intenderci, per cui con un clic, da casa tua, fai la spesa con consegna in giornata. Ero certo che prima o poi si sarebbe arrivati anche a quello… ma io non riesco a togliermi più dalla mente gli ultimi giorni di vita di Oriana Fallaci, minata dal cancro, che all’amico Vittorio Feltri espresse il desiderio di una cosa per lei fantastica: andare in una salumeria. E non le sarebbe bastato un clic perché non era nemmeno il gusto del prosciutto che muoveva il desiderio suo: era il salumiere che tagliava, la gente che aspettava, l’ambiente ordinato da guardare a bocc’aperta. Proprio quell’umano, che non si può cancellare con clic.