L’esito degli esami di laboratorio effettuati sui resti umani rinvenuti nella cripta della basilica di Sant’Apollinare (nel pieno centro di Roma) parla chiaro: le ossa ritrovate non sono quelle di Emanuela Orlandi, la cui sparizione tiene ormai banco da ben trent’anni.
Ad accertarlo sono stati gli specialisti del laboratorio Labanof, che hanno esaminato i resti rinvenuti nella chiesa in cui il boss della Banda della Magliana, Renatino De Pedis, fu sepolto per rimanervi fino al 2012, quando il Vaticano diede il lasciapassare allo spostamento della salma.
Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, gli inquirenti si starebbero ora focalizzando su un’altra pista, quella del fotografo Marco Fassoni Accetti (che si è sempre dichiarato innocente), il super testimone che ha però ammesso di essere stato uno dei telefonisti del sequestro. Il boss della Magliana, freddato dai suoi ex affiliati, era stato sepolto a Sant’Apollinare nel 1990 e nel 2012, quando fu effettuata la dissepoltura della bara, al suo interno furono trovate ossa che non appartenevano a lui. Resti che non appartengono però neanche alla giovane ragazza, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, che scomparve il 22 giugno 1983 alla tenera età di 15 anni e che non fu mai più ritrovata. E di anni, ne sono passati ormai trenta: si tratta forse del giallo più triste e celebre della nostra storia.
Era stata la trasmissione di Rai Tre Chi l’ha visto a rispolverare la vicenda, grazie a una telefonata anonima arrivata in diretta alla redazione del programma: qualcuno aveva detto che, per arrivare finalmente la soluzione del caso Orlandi, non bisognava far altro che cercare nella basilica di Sant’Apollinare, andando ad indagare il “favore che Renatino fece al cardinal Poletti”.