La notizia è rimbalzata sui giornali e i social media, con tanto di sarcasmo: cucina batte fabbrica due a uno. Tradotto, significa che gli iscritti agli istituti tecnici sono la metà degli aspiranti cuochi. O, se non proprio cuochi, questi ragazzi aspirano a una qualche occupazione in enogastronomia o in ospitalità alberghiera. Secondo Coldiretti le iscrizioni alle scuole alberghiere, infatti, sono di 46.000 iscritti contro i 21.521 giovani che hanno scelto un istituto tecnico con indirizzo industriale. Ma ci sono anche 13.378 ragazzi che hanno scelto Agraria come facoltà, quasi a dar manforte a quell’esercito di 56.663 imprese agricole guidate oggi da under 35. Che sta succedendo? E’ cambiato il sogno, proprio sull’onda delle trasmissioni televisive che enfatizzano un lavoro… o un divertissement: cucinare. Guardi Masterchef oppure Tonino Cannavacciuolo e tutto sembra così ovvio, facile. Ma che dire dei 48.000 esercizi pubblici che chiuderanno a breve, secondo quanto ha detto di recente il premier Letta. Sembra un paradosso eppure l’enogastronomia – per usare un parola del gergo in voga – è a palla. Se girate per Milano, anche solo in una via, vi girerà la testa per quanti locali aperti. Ma l’altra sera, durante una passeggiata ad Acqui Terme, lo spettacolo era il medesimo. Eppure eravamo in una cittadina di provincia. Un locale dietro l’altro, dal wine bar alla vineria al ristorante: tutti pieni. Ora, se al sindaco che 12 anni fa ipotizzò una valorizzazione di questa cittadina anche negli angoli più degradati bisognerebbe dedicare almeno una via, (si chiama Bernardino Bosio, e molti ad Acqui, purtroppo, lo hanno dimenticato, anche se il valore degli immobili è cresciuto), rimane una domanda che figura quasi un tormentone da almeno tre anni: ma i ristoranti in Italia sono pieni?
L’affermazione la fece Berlusconi, e chi non se la ricorda. Lo disse, allora, perché in troppi si divertivamo a fare paragoni i Grecia-Italia. E fu preso in giro, come ogni cosa che esce dal sacco della politica che, essendo stata impresentabile (vogliamo il beneficio del passato davanti ai cambiamenti di questi giorni, lucignolo fumigante di una timida speranza?) non è più credibile. Ma la verità è che la movida funziona, certe formule enogastronomiche fanno il pieno e il sogno dei ragazzi di oggi è quello di avere un locale tutto per loro. Allora il problema dove sta?
Semplicemente nel fatto che non ce la faranno, se dopo il sogno non ci sarà il risveglio, che fuor di metafora significa lavoro, passione, ma soprattutto maestri. Il maestro è diverso, molto diverso dall’insegnante. Il maestro è l’incarnazione del mestiere, è rispetto del cliente, è capacità di valutare il gusto. Il maestro è un rapporto, esclusivo in certi casi, perché ricercato (ma pochi lo cercano davvero, un maestro). Prendo in prestito una recente frase di papa Francesco: “Il popolo che non ascolta i nonni è un popolo che muore. 



Che significa: un popolo senza maestri, senza storia, senza trasmissione di saperi (che non avviene dalle “trasmissioni” della televisione) è destinato a morire. E allora penso anche ai tanti giovani che si sono avvicinati in questi ultimi anni anche a me: un consiglio, un confronto, lo scambio di due chiacchiere sul sogno. E poi? Poi non ci si vede più, nella stragrande maggioranza dei casi, come se il salto di 25 anni tra generazioni fosse un muro. E i maestri così scompaiono, dietro quel muro, mentre il giovane, con testardaggine, insegue il sogno, senza mai svegliarsi veramente e fare i conti con le cose reali, con la scienza, dove anche il marketing è scienza, come lo è un business plan, il calcolo del costo ora di lavoro, l’attenzione quotidiana alla cronaca del mondo. Forse è proprio li che nasce la passione fuori dal sogno: guardando con un maestro il mondo, vivendo una complicità tutta italiana, che non è esattamente guardare Masterchef o altre trasmissioni che alimentazione la follia di un’illusione. Qui la lotta è tra uscire dall’illusione (dal sogno) e riprovare ad avere un rapporto umano (al netto di sms e post). Con un maestro possibilmente.

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