Il tempo è scaduto per “ogni tolleranza e ambiguità per violenze di stampo ormai terroristico”. Lo scrive a La Stampa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo che un pacco-bomba è stato recapitato a uno dei cronisti del quotidiano torinese impegnato a raccontare la “guerra della Val di Susa”, attorno ai cantieri Tav. Lo scrive, il capo dello Stato, trentasei anni dopo che un commando Br assassinò il vicedirettore della Stampa, Carlo Casalegno; quarantun anni dopo che un estremismo – poi ricondotto in via processuale a Lotta continua, almeno in termini di responsabilità morale – uccise il padre dell’attuale direttore della Stampa, il commissario Luigi Calabresi. Napolitano scrive – quasi “apertis verbis” – al capo della Procura di Torino, Giancarlo Caselli.



E quando la lettera spedita dal Quirinale dice di “condividere l’analisi del procuratore”, siamo certi che Caselli per primo avrà ben inteso un inequivocabile richiamo a condividere reciprocamente e sul serio la preoccupazione del Quirinale. Poco importa quanto ampie o profonde siano le “frange estreme” che perseguono “obiettivi criminali”. I “criminali” in Val di Susa ci sono ed è ora che vengano combattuti senza esitazioni “ambigue o tolleranti”. E se finora a Torino ve ne sono state – magari anche in Procura o altrove – è bene che tutti seguano l’esempio del ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Dieci giorni fa Alfano ha visitato i cantieri-trincea in Val di Susa, annunciando l’invio di un contingente militare per rafforzare i presidi alla realizzazione della Tav, che è anzitutto una grande opera infrastrutturale avviata da un paese in pesante recessione. Nessuno dubita che anche Caselli lavori ogni giorno a dovere per affermare lo Stato nella sua circoscrizione giudiziaria: così come ha fatto – con ovvi rischi personali – ai tempi delle prime Br e quando la sua area operativa divenne poi la Palermo in stato permanente di guerra di mafia.



In ogni caso ora il presidente del Csm – cioè il superiore ultimo di Caselli nell’autogoverno della magistratura – ha ricordato anche a lui che non è più tempo di attardarsi in tv ad “analizzare” ciò che sta avvenendo in val di Susa. Il procuratore capo di Torino – per quanto gli compete – deve provvedere con i suoi strumenti di legge: senza se e senza ma. Senza “ambiguità e tolleranze”: anche se contrastare le “esuberanze irrazionali” di un movimento antagonista – potenzialmente affascinante per molti, soprattutto giovani, come le Br negli anni 70 – può essere più complicato e faticoso, meno eroico, meno ideologicamente appagante e più politicamente scorretto che sfidare in Sicilia il potere occulto dei capibastone e i kalashnikov dei loro picciotti.



Non da ultimo: Napolitano si è espresso due giorni dopo la sessione parlamentare “che ha cambiato l’Italia” rinnovando la fiducia al governo Letta. Ha messo nero su bianco il suo punto di vista sulla Val di Susa il giorno stesso in cui lo stesso parlamento democratico ha votato la decadenza del suo membro Silvio Berlusconi, condannato in terzo grado con procedimento giudiziario regolare – come tutti – fino a prova contraria. Ci sbaglieremo, ma il Quirinale ha volito dichiarare – senza “ambiguità” – che se la Seconda Repubblica è finita per Berlusconi, lo è anche per alcuni standard consolidatisi negli ultimi vent’anni in alcuni ambienti giudiziari. Anche la “riforma della giustizia” – in un Paese che ha il 40 per cento di giovani disoccupati – va iniziata, va fatta subito, va fatta dai magistrati stessi.

 

Riguarda la sicurezza materiale e legale dei cantieri in val di Susa e l’efficienza della giustizia civile che è un fattore competitivo di un sistema-Paese tanto quanto il suo livello di corruzione pubblica e di evasione fiscale privata. Riguarda la sicurezza quotidiana tanto quanto l’educazione civile dei suoi abitanti di oggi e di domani. Riguarda il tasso di democrazia reale che la Terza Repubblica italiana può vantare al tavolo della Terza Europa, quella del cancelliere Merkel. (Luciano Violante – amico e compagno di trincea di Caselli in tante battaglie giudiziarie in difesa dello Stato e oggi primo fautore di una “pacificazione” nazionale anche sul terreno giudiziario – nei giorni scorsi è stato preso a gavettoni da alcuni giovani del “suo” Pd a Genova. Naturalmente non se n’è preoccupato: il problema è non è suo, è di quei giovani e di quel Pd)

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