Qualche giorno fa Bill Gates ha sconfessato le aspettative più o meno messianiche connesse a internet e in generale alla rivoluzione tecnologica in corso: se non una svolta, è almeno una circostanza importante e non priva di ironia. Non sono mancate negli ultimi anni le analisi disincantate di alcuni scettici intelligenti, come Evgeny Morozov, tuttavia dalle cosiddette primavere arabe e affini alle meraviglie di wikileaks, o alle piattaforme online annunciate (e non realizzate) dal Movimento 5 Stelle, non c’è evento mirabile degli ultimi anni che non sia stato ulteriormente sancito da un collegamento, talvolta fantasioso, con le virtù di trasparenza esibite da internet.



Ora è Gates, non un tradizionalista del mondo di ieri, a avvertire che ci sono altre urgenze: vaccinare i bambini o nutrire i miliardi di persone che soffrono la fame, per esempio. Nel momento in cui qualcuno straparla di accesso a internet come diritto fondamentale, è un segnale comunque positivo di una certa saggezza e di un senso conservato delle priorità. Certo, si può inquadrare la sua presa di posizione nella sfida a quattro che è in corso tra Microsoft, Facebook, Google e Apple, dove proprio la compagnia fondata da Gates esprime, agli occhi dei cultori delle altre sette, una visione passatista e poco cool. E probabilmente nella sua presa di posizione Gates ha inserito una punta di veleno dedicata ai messianismi propugnati dai colleghi.



Proprio questo è il punto. A partire da un fatto relativamente innocuo come la santificazione in vita e soprattutto post mortem dell’incorporeo Steve Jobs degli ultimi anni, non mancano indizi, ben più pericolosi, della funzione messianica assunta dalla tecnologia informatica. È noto che Google spinge con la forza dei suoi investimenti in favore delle congetture postumaniste di una prossima “singolarità”, vero e proprio punto di non ritorno dell’evoluzione umana.

Anche se si trattasse solo di una scelta pubblicitaria in favore delle frange eccentriche che si fanno crioconservare o che ingurgitano centinaia di pillole al giorno (come Ray Kurzweil, che è uno dei principali teorici del movimento ed è recentemente entrato nella compagnia di Mountain View) per garantirsi la salute perfetta, è impossibile che una compagnia che fonda tutto il suo successo sulla capacità di individuare i trend non abbia percepito la rilevanza nell’immaginario contemporaneo di queste linee di tendenza. Nello stesso senso va l’ampiamente pubblicizzato esperimento dei Google glasses, che enuncia il mito (impossibile, e anzi pericoloso e totalitario) della trasparenza assoluta e della connessione costante.



Per completezza e per non ricascare in un’altra santificazione, non si può nascondere però che ciò che Gates ha in mente per aiutare i bambini che soffrono la fame esprime una cultura altrettanto tecnocratica di quella dei sostenitori della magia della rete. La Bill & Melinda Gates Foundation propone, tra altre cose, la notoria terapia malthusiana che consiste nella riduzione drastica della presenza umana sulla Terra, da raggiungere attraverso la semplificazione tecnica e diffusione capillare dell’aborto oltre che attraverso la contraccezione. È poco noto che esistono dei significativi legami familiari: il padre di Gates, un importante avvocato, ha avuto per anni un ruolo di grande rilievo in Planned Parenthood, la potente lobby la cui attività e la cui storia sono risapute.

Dunque la proposta di Gates sotto questo profilo consiste in quel curioso cortocircuito mentale e morale che afferma che per risolvere la povertà, la strada è eliminare i poveri. Inoltre, dato che tutti questi uomini di troppo rovinano l’ecosistema, più al fondo ancora c’è la scadente ma ormai diffusa ideologia che afferma la fondamentale negatività della presenza umana sulla Terra; anzi il primato di quest’ultima, che è tornata ad essere la divinità indiscussa della preistoria, sull’uomo.

Gates come i suoi contendenti condividono la stessa dottrina tecnocratica, anche se divergono sulle priorità e sulla maniera migliore di implementare il radioso domani. Resta opportuna, allora, una salutare diffidenza e un’accurata informazione, prima di abbeverarsi alle narrazioni divergenti della sacrosanta lotta alla povertà; o della redenzione, politica, morale o addirittura biologica, consentita da internet.