Raccontano che a Gerusalemme le madri con più figli fanno loro prendere l’autobus per andare a scuola a orari leggermente differenti. Si cautelano per vederne tornare a casa qualcuno, in caso di attentato.

Ma quel giovane in divisa che sedeva al fondo del bus, e guardava fuori dal finestrino, svagato, forse preoccupato dei giorni che lo aspettavano. Arruolato nell’esercito israeliano, comme il faut, da appena due settimane,  pensava alla disciplina, agli orari rigidi e alla spensieratezza della sua adolescenza, perduta per i prossimi due anni. Non si scherza, in divisa, non si gioca, ci si prepara al peggio, sempre, e dunque si fa sul serio. Non immaginava che quella divisa sarebbe stata macchiata di sangue così presto, e non in un conflitto armato. Non poteva pensare che senza un motivo, in uno stato mentale così poco battagliero, sarebbe stato colpito all’improvviso, a tradimento: che nemico è chi ti pugnala più e più volte, sull’autobus pieno, senza dichiararsi, senza cercare una lotta onorevole.



E’ un ragazzo come te, infatti, non un soldato. Anzi, più piccolo di te, soltanto sedici anni. E’ arrivato a Gerusalemme  dal suo paese, Jenin, nei territori occupati. Hussein è riuscito a penetrare in Israele non si sa come,  e dire che ci sono muri e controlli serrati. E ha scelto quell’autobus, e te, ragazzo israeliano, per vendicare forse l’attacco dell’anno scorso, nella striscia di Gaza; forse la morte di qualche parente. O forse niente: soltanto per dare sfogo alla rabbia e cercare un obiettivo all’odio verso di te, verso di voi.



L’odio non è innato. Se vi foste conosciuti in culla, tu e Hussein avreste giocato alla stesso modo, vi sareste presi a botte e poi abbracciati l’un l’altro. L’odio si impara, viene instillato giorno dopo giorno, lo bevi col tè del mattino, lo ricevi da padre e madre, come da loro impari le preghiere e i comportamenti, te lo ripetono a scuola, al bar, al mercato, sui campetti di calcio. Poco a poco ti prende, ti snatura, ne diventi vittima.

Perché Hussein è una vittima, come lo è il suo popolo. E tu lo sai bene, ragazzo israeliano figlio di un popolo vittima di tutte le storie e di tutti i secoli, e non hai potuto odiarlo, mentre capivi che quel sangue dalla tua gola non sarebbe sgorgato in eterno, mentre ti portavano in ambulanza, nella corsa frenetica, tra le urla, i pianti, i medici che gridavano, tu capivi che non avevi colpe, tu, ma era quella dannata divisa.



Che portavi con orgoglio, certo, ma sapendo che in suo nome si era ucciso, da troppi anni. E’ la guerra, ci sei nato, in guerra, nella paura, nell’incertezza sul domani che verrà. Che fare altrimenti, se non resistere, difendersi? Forse le tue decisioni sarebbero state diverse da quelle dei capi del tuo paese, forse non ti piacevano i raid e la morte di tanti civili, ma che fare? C’erano altre soluzioni? Quanti ne hai visti e  sentiti di compagni saltati in aria per una bomba?

Ragazzo cresciuto troppo in fretta, che sentivi il peso e la responsabilità di quella divisa. Sapevi che non ce l’avresti fatta, e non sentivi neanche dolore, ma un male più profondo, più grande. Perché a te? Non c’è risposta, lo sai. Perché, quest’odio? Perché si butta la vita a sedici anni per poter vantarsi di aver ucciso un ebreo? Che pensava di ottenere, quel ragazzino palestinese, la gloria, il plauso dei suoi, l’eternità?

Nella tua religione la Legge è chiara: uccidere è peccato. Eppure avresti ucciso anche tu, se te l’avessero comandato, se ti fossi trovato in mezzo a una sparatoria. Avresti colpito anche a freddo, come un cecchino? Forse sì. Avresti colpito senza un motivo, solo per uccidere un nemico che non poteva fare del male, che non aveva armi, che stava pensando alla famiglia e alla ragazza, senza odiare proprio nessuno? No, non l’avresti fatto. Né per soldi, né per appartenenza a un esercito clandestino, né per un atto dimostrativo.

Hussein non ha sconfitto l‘esercito israeliano. Ha distrutto la sua anima, ha perso qualsiasi sogno di felicità. Ha macchiato l’onore della sua gente, accresciuto la sua disperazione. L’Inferno per chi muove un ragazzino a questo abisso.

A te, ragazzo con la divisa, arrivederci. A te che non volevi essere un eroe, non si dica che la tua morte sarà vendicata. E neppure che aprirà la porta della consapevolezza, del dialogo, della pace. Sai bene che non sarà così, che in quella terra benedetta di sangue ne scorrerà ancora. Ma che la tua vita non è stata vana, questo lo sai. Sei nato fidandoti di una promessa, e Dio non può mancarla. Sei stato scelto, per far parte del suo popolo. Tutti noi che siamo popolo di Dio ti piangiamo come un giovane fratello.