Per un attimo mi era sfuggito. I vistosi nomi di Angelina Jolie e Madonna fra quelli delle mamme adottive, avevano messo in ombra quello di Libera. Chiaro: lei non gira gli orfanotrofi di mezzo mondo in jet privato. Libera non è una celebrità dello star-gossip, ma una giovane donna emiliana. Insieme al marito Michele hanno deciso di accendere un mutuo per pagare la pratica d’adozione del loro Leonardo, vispetto etiope di appena un anno. Confesso che appena ho saputo della loro coraggiosa iniziativa, ho provato un attimo d’imbarazzo. In qualità di madre d’un adolescente – come il terzo mondo, in via di sviluppo – se avessi a disposizione un mutuo, così d’amblè, oggi lo userei per eliminarmi i grattacapi e spedire mio figlio dritto in un collegio svizzero.
Figuriamoci se sarei stata certificata idonea per l’adozione! Loro no: hanno chiesto un prestito di ben quindicimila euro prima ancora che arrivasse il figlio. Mio figlio piccolo me lo ricordo anch’io: in un solo giorno, mi ha innalzato a genitore e ha ridotto la mia vita sociale ai minimi termini. A tre mesi dalla nascita, ho rimpianto di non aver speso la stessa ragguardevole cifra prima di entrare in sala parto. In un resort a cinque stelle, possibilmente nell’Oceano Indiano, all inclusive e in compagnia di una buona dose di affari miei. Loro no: hanno investito tutto sul figlio e sulla famiglia. Io – non dico che arriverei al punto di investire il figlio – ma davanti alla originalità della scelta, qualche domanda me la sono posta. In base all’analisi di un milione di richieste di prestito personale, è emerso che l’obiettivo più comune dei giovani italiani è l’acquisto di un bene: la macchina. Ciascuno fa le proprie scelte. All’estero già le cose cambiano un po’. Negli Stati Uniti, dove i prestiti sono la prassi, è normale accedere a un mutuo cospicuo che consenta di frequentare l’Università. In Italia è rarissimo.
Per non parlare dei Master: per ottenere il titolo, ci si indebita per una cifra media che va dai 50mila ai 100mila dollari. Roba da adottarci una squadra di basket. Il punto è che almeno lì, si investe in capitale umano; da noi, in automobili. Ora: si tratta di vedere chi arriva più lontano. Quando si parla di investire un gruzzolo sull’individuo o spenderlo in un prodotto usa-e-getta, non c’è ROI che tenga: non occorre un economista laureato ad Harvard per capire che il ritorno sull’investimento – affettivo e non solo – sarà di lunga maggiore nel primo caso. L’importo per la pratica d’adozione è comunque alto.
Peccato che occorra spendere così tanto per un’opera di bene. Tanto più che, non di rado, l’investimento su di un singolo individuo si traduce in una ricchezza per tutti. Steve Jobs è stato adottato a pochi mesi dalla nascita. E io stasera mi ritrovo qui a controllare il mio iPhone, con l’attenzione ossessiva che dedicherei (forse nemmeno) a un quarto figlio. Ironia della sorte, è proprio dal display del telefonino che ho letto di Libera e Michele: restare indifferenti al loro passo non è possibile. Loro sì che sono stati hungry and foolish, affamati e folli oltre ogni ragionevolezza del pensar comune. Forse il loro piccolo Leonardo domani non diventerà altrettanto famoso, ma di sicuro oggi è la scommessa vivente che vale la pena venire al mondo. E quando viene al mondo, ogni bambino arriva puntuale con il suo fagottino.